L’arroganza di Mosca umiliata dal gas turkmeno a Pechino
Ashgabat (AsiaNews) – Il Cremlino è alle strette e si trova ad affrontare un serio “ripensamento delle sue politiche energetiche in Asia centrale”. Così alcuni quotidiani russi hanno commentato l’inaugurazione, svoltasi in pompa magna lunedì 14 dicembre, del nuovo gasdotto Turkmenistan-Cina. Esso è una struttura cruciale nella geopolitica del gas del Mar Caspio e degli assetti energetici sul continente asiatico. Ma soprattutto, il gasdotto rafforza la presenza di Pechino nell'Asia centrale a scapito di Mosca, che finora aveva il monopolio della distribuzione di metano dalle ex repubbliche sovietiche.
Lunga 1.883 km, una volta completata nel 2013, la pipeline porterà oltre 40 miliardi di metri cubi l'anno di gas turkmeno nella regione cinese dello Xinjiang, passando per Uzbekistan e Kazakstan, grazie a un accordo tra la China National Petroleum Corporation (Cnpc) e la KazStroyService. Altri 10 miliardi di metri cubi saranno “trattenuti” dal Kazakistan. Il costo previsto è di 20 miliardi di dollari.
All’inaugurazione del TAGP (Trans Asian Gas Pipeline) a Samandepe, erano presenti il capo di Stato cinese Hu Jintao e l’omologo turkmeno Gurbanguly Berdymukhamedov, assieme al presidente kazako Nursultan Nazarbaev e a quello uzbeko Islam Karimov.
Si tratta di un importantissimo tassello nella distribuzione energetica in Asia, soprattutto perché è la prima tratta che aggira la Russia. A dare una lettura “politica e non solo economica” all'accordo energetico è lo stesso Berdymukhamedov: il gasdotto è un segnale lanciato alla Russia e indica la volontà del Turkmenistan di avvicinarsi alla Cina, ritenuta ormai “una dei garanti della sicurezza globale”. Ma cosa ha rovinato i rapporti privilegiati di Mosca con gli ex Stati satelliti?
Nel luglio 2008 la russa Gazprom firma un contratto per comprare il gas turkmeno a prezzi europei. I costi di quello che era un tempo l'economico gas dell'Asia centrale aumentano in modo drastico. Ad aprile Gazprom ferma gli approvvigionamenti turkmeni dopo l'esplosione di un gasdotto nel Paese. Ashgabat ritiene Mosca responsabile dell'incidente perché deliberatamente aveva diminuito la pressione della pipeline provocando l'esplosione. Poco prima il Turkmenistan aveva aumentato i prezzi del gas e minacciato di vietarne la riesportazione, provvedimento che avrebbe reso inutile l'acquisto da parte di Gazprom. Mesi di tensione hanno portato al ripristino dei rifornimenti da parte di Mosca ma il clima è palesemente teso.
Dell'arroganza energetica del Cremlino, approfitta la Cina, abituata a una diplomazia più soft e “incisiva”. Pechino ha concesso ad Ashgabat un prestito di 4 miliardi di dollari quest'anno e la Cnpc è al momento l'unica compagnia estera a cui è concesso di sviluppare i depositi di gas in Turkmenistan. Gazprom, invece, non ha investito nel territorio e ha sempre preferito succhiare il gas turkmeno per poi rivenderlo a prezzi maggiorati. “Ma questo tipo di politica ha mostrato tutta la sua inefficacia”, spiega Vitalij Bushuyev, capo dell'Istituto turkmeno per le strategie energetiche.