18/01/2023, 08.55
RUSSIA
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L’anno nuovo dei popoli russi dell’Artico

di Vladimir Rozanskij

La Chiesa ortodossa russa rimane fedele al calendario giuliano e ha festeggiato il 14 gennaio. I korjaki della Kamčatka iniziano l’anno al solstizio invernale, il 21 o 22 dicembre. Lo stesso fanno i čukči al confine con l’Alaska. Negli Urali, khanty e mansi aspettano l’arrivo dei corvi a primavera.

Mosca (AsiaNews) – La Chiesa ortodossa russa ha festeggiato il “vecchio anno nuovo” il 14 gennaio, rimanendo orgogliosamente fedele al calendario giuliano, in attesa del Battesimo del 19 gennaio, per concludere il ciclo natalizio. In realtà la prima data ufficiale nella Rus’ di Kiev era il primo marzo, cambiata al primo settembre solo nel 1492, secondo disposizioni diverse dell’anno liturgico ortodosso. Solo con lo zar “occidentalista” Pietro il grande, a inizio del 1700, si è iniziato a festeggiare il primo gennaio.

Le date del nuovo anno, del resto, variano molto tra i popoli a tutte le latitudini, e anche in Russia non mancano di riproporsi diverse antiche tradizioni, soprattutto tra i piccoli popoli del settentrione artico. I korjaki, un’etnia originaria della parte superiore della Kamčatka, iniziano l’anno al solstizio invernale, il 21 o 22 dicembre, e chiamano la festa “Tuygivin” (Giorno del fuoco).

Come racconta Tatjana Ikavav, una nativa korjaka, “da noi senza il fuoco non si sopravvive oltre qualche ora”; il fuoco offre il calore, e al fuoco ci si offre il cibo, cuocendo pesce e carne di renna, di balena o di tricheco, insieme alle focacce. Si getta un pezzo nel fuoco e si esprime un desiderio. “Quest’anno ho chiesto che tutti i popoli, russi, korjaki, čukči, zveny, ucraini e con tutti gli altri potessimo vivere in amicizia, rispettandoci l’un l’altro”. Il falò viene acceso dagli anziani del villaggio, ringraziando lo “spirito del fuoco” che purifica l’anima dell’uomo.

In Čukotka, ai confini con l’Alaska, l’anno nuovo è chiamato “Pegytti”, anch’esso si festeggia al solstizio invernale. Come racconta una donna del luogo, Aleksandra Sleptsova, in una conversazione con Sibir.Realii, “secondo gli anziani le renne sanno quando il giorno ricomincia ad allungarsi, si voltano di 180 gradi e si dirigono a nord”. In quel giorno si alza la stella Pegytti, il nome čukčo di Altair, della costellazione dell’Aquila. Anche i čukči accendono il fuoco, con una speciale “tavola acciarina” che si tramanda di generazione in generazione.

I khanty e i mansi, due gruppi ugro-finnici ai vertici degli Urali, festeggiano invece il nuovo anno in primavera, tra fine marzo e inizio aprile, senza una data precisa. Tutto dipende dal volo dei corvi, i primi uccelli migratori che giungono all’estremo nord quando ancora non si è sciolta la neve. Gli ugri dell’Ob, il grande fiume che nasce dagli Urali, ritengono che le grida dei corvi risveglino la natura, e chiamano quindi la festa come “Vurna Khatl”, il “Giorno del corvo”.

Un’abitante della regione autonoma Khanty-Mansijskaja, Galina Andreeva, ricorda le fiabe della nonna, sui tempi dei grandi geli, quando finivano le riserve di cibo e gli alberi diventano come delle stalattiti. Sulla tundra giunse allora una cornacchia, che vedendosi sola nel gelo si mise a gridare, tanto che gli alberi si scrollarono della neve, gli animali si mossero e gli uomini uscirono dalle case. All’orizzonte spuntò il sole e arrivarono gli stormi dei corvi e tutto riprese a vivere.

Con l’arrivo del cristianesimo russo, l’inizio dell’anno era stato fissato al 25 marzo, festa dell’Annunciazione, con una felice corrispondenza tra il grido della cornacchia e l’annuncio dell’Angelo. Entrambi indicano la vita che nasce, e corvi e cornacchie sono ritenuti protettori di madri e bambini; si ritiene che la prima donna che avvista una cornacchia, presto diventerà anche la prima donna incinta dell’anno, un po’ come avviene con la cicogna degli altri Paesi.

Dal 2011 il governo regionale ha stabilito una nuova data, il secondo sabato di aprile, per spostarsi più verso il caldo ed esaltare le tradizioni popolari. Il risultato, come avviene per le doppie date dei calendari cristiani, è che i khanty e mansi raddoppiano le feste invernali, salutando la vita che rinasce unendo culture e religioni.

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