28/10/2009, 00.00
COREA DEL SUD
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L’allarme della Chiesa: “Dopo la crisi si rischia una rivolta sociale”

di Joseph Yun Li-sun
Un convegno presso il Centro apostolico di Seoul analizza la disoccupazione e il nuovo fenomeno del lavoro irregolare e chiede al governo un intervento a difesa della popolazione. Il vescovo di Incheon: “La dignità umana va preservata a tutti i costi”.

Seoul (AsiaNews) – La società coreana “è entrata in una fase che potremmo chiamare di polarizzazione. Soltanto che, all’estremo più basso di questo polo, ci sono i lavoratori irregolari e i disoccupati. È urgente che il governo ascolti la voce della Chiesa: la dignità umana e il senso del lavoro sono fattori da rispettare, condizioni umane da preservare”. È l’appello lanciato da mons. Boniface Choi Ki-san, vescovo di Incheon e presidente della Commissione episcopale Giustizia e Pace, nel corso dell’incontro promosso dalla Chiesa cattolica sulla situazione del lavoro in Corea del Sud.

 Il convegno – intitolato “Riflessioni e soluzioni pratiche per il lavoro irregolare: la voce della Chiesa per la solidarietà sociale” – si è svolto nei giorni scorsi presso il Centro apostolico gesuita di Seoul. Oltre ai sacerdoti diocesani e al vescovo di Incheon, erano presenti come relatori esperti di diritto del lavoro ed economisti. L’incontro è stato organizzato per presentare i risultati della ricerca sul lavoro irregolare condotta da Giustizia e Pace, che lo definisce “una delle peggiori piaghe sociali del nostro tempo”.

 Per effettuare la ricerca, il Centro coreano cattolico per i lavoratori ha condotto ricerche da gennaio sin alla fine di luglio, attraverso sondaggi e interviste con i dipendenti pubblici e gli operai. Inoltre, nel documento finale sono presenti i documenti e gli insegnamenti sociali della Chiesa sul tema del diritto all’impiego: una sorta di vademecum per chi affronta il mondo del lavoro.

 Nel corso del dibattito, i partecipanti si sono concentrati sul nuovo fenomeno del lavoro irregolare. Dopo la disastrosa crisi finanziaria dello scorso anno, infatti, anche in Corea del Sud è emerso il fenomeno dell’impiego “in nero”. Presente da sempre nel campo agricolo e in quello industriale, questo si è allargato fino a comprendere tutti gli ambiti: ad oggi, dice il rapporto, il 52% di coloro che hanno un lavoro non hanno contratto. Quindi non pagano le tasse e non hanno garanzie sociali.

 Il direttore del Centro, dottor Kim Seong-hee, spiega: “Nella nostra società, dopo il crack delle Borse, più di 8 milioni di impiegati non ha paracadute sociale e non contribuisce al Prodotto interno lordo. Inoltre, per la fame di lavoro che si è creata dopo la crisi, si sono considerevolmente abbassate le paghe corrisposte: senza controllo da parte del governo, i datori di lavoro si sentono autorizzati a creare nuovi schiavi”.

 Ancora più grave la situazione delle donne: “Secondo le nostre ricerche, il 64% delle lavoratrici è irregolare. C’è bisogno di una riforma urgente, di un impegno preciso da parte dell’esecutivo: quello che per adesso può sembrare soltanto un problema di natura fiscale rischia di creare uno squilibrio sociale senza precedenti nella nostra nazione”.

 Sulla stessa linea ance il sacerdote gesuita Daniel O' Keeffe, rettore del Centro apostolico di Seoul: “Gli insegnamenti della Chiesa cattolica in materia sono chiari: uno stipendio giusto e regolare è un misura fondamentale per il sistema economico. Quindi non è moralmente accettabile, anche se fosse legittimato dalla legge, che esistano degli squilibri tesi a discriminare un gruppo di lavoratori. La Chiesa si impegna per migliorare questa situazione quotidianamente. Ma deve farlo anche la società”.

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