L’abisso di miseria dello Yemen, terreno fertile per al Qaeda
Dopo il timore di attentati, riaprono le ambasciate occidentali. Emergenza umanitaria per i profughi dal Corno d’Africa: l’allarme dell’Onu. La guerra fra sauditi e Iran e la leggerezza del governo.
Sanaa (AsiaNews) – L'instabilità dello Yemen rappresenta oggi una “minaccia globale”. Sono le parole del Segretario di Stato Hillary Clinton e la convinzione di gran parte della comunità internazionale impegnata a impedire che si apra un nuovo fronte di guerra dopo gli avvertimenti della Casa Bianca su un possibile intervento militare contro i santuari di al Qaeda nel Paese.
L'allarme attentati contro obiettivi occidentali non si abbassa, ma oggi Usa, Gran Bretagna e Francia hanno deciso comunque di riaprire le loro ambasciate a Sanaa, chiuse per due giorni causa motivi di sicurezza. Ma oltre alle pesanti infiltrazioni del terrorismo islamico, ci sono altri fattori, spesso intrecciati tra loro, che determinano l'instabilità di un Paese ormai sull'orlo di un pericoloso baratro.
Immigrazione
Si tratta di un vero e proprio allarme e a lanciarlo è stato pochi mesi fa l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr): migliaia di civili in fuga dai combattimenti in Somalia si riversano nella città costiera di Bosaso, in attesa di raggiungere lo Yemen. In tutto il Paese i profughi sfiorano già i due milioni (1,8 milioni), la maggior parte proviene dal Corno d'Africa. La legge yemenita riconosce ai cittadini somali lo status di rifugiati politici. Questi vengono accolti e condotti nel campo di Kharaz. Dove, però, ci sono già 13mila persone, senza contare le migliaia di rifugiati e migranti che vivono nei sobborghi delle città più grandi. Stando ai dati della Yemeni Migration, Nationality and Passport authority, solo nel 2009 si sono registrati 165mila nuovi rifugiati, che vanno ad ingrossare le fila di un esercito di poveri già straripante. Se la pressione migratoria aumenta, il Paese rischia la crisi umanitaria.
Povertà e integrità territoriale
Al sud monta lo scontento della popolazione; sentimento covato da almeno tre anni, quando iniziarono le proteste per le pensioni dei veterani della guerra civile del 1994. Le istanze di chi protesta sono rimaste inascoltate dal governo fino a generare una vera e propria “causa meridionale”. La frustrazione provocata da carovita e corruzione ha portato la gente in piazza, chiedendo a gran voce la secessione. La povertà è una piaga storica del Paese, che oggi per impedire il tracollo finanziario conta in gran parte sui finanziamenti internazionali. Per il 2009 il governo è stato costretto a tagliare le spese pubbliche del 50 percento.
I ribelli del nord
Nel governatorato settentrionale di Saada è in corso da anni una vera a propria guerra civile tra i militari e i ribelli seguaci di al-Houti, un predicatore sciita in conflitto con il potere centrale gestito dai sunniti. Gli scontri hanno generato un enorme massa di sfollati interni: almeno 15mila, secondo il World Food Programme.
Dopo l'intervento dell'esercito saudita in appoggio al debole governo di Sanaa, è arrivato a dicembre anche il sostegno americano. Gli stessi Paesi del Corno d'Africa, ad eccezione dell'Eritrea, si sono apertamente schierati con lo Yemen. Il governo del presidente Saleh e la Lega Araba accusano l'Iran di fomentare la rivolta separatista. La lotta in Yemen ha assunto significati che vanno ben oltre la questione locale: è anche la lotta tra il potere sunnita di Paesi come l'Arabia Saudita e quello sciita, simboleggiato dall'Iran di Mahmoud Ahmadinejad.
Al-Qaeda
In questo contesto trova terreno fertile il messaggio qaedista di odio e violenza. La settimana scorsa uno studio del Center of Immigration Studies and Refugees dell'Università di Sanaa ha chiesto l'apertura di un'indagine ufficiale sui legami tra alcuni rifugiati e gruppi terroristici. Gli accademici denunciano la leggerezza delle autorità nel registrare chiunque arrivi senza adeguati controlli. La stessa Immigration and Passport Authority yemenita ammette la difficoltà della polizia nell'identificare elementi sospetti tra gli immigrati somali, mettendo in luce l'urgenza di una politica nazionale sull'immigrazione più efficace, con leggi ad hoc e organismi preposti a gestire il problema.
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