L’Iraq si prepara al voto per il rinnovo dei consigli provinciali
La tornata elettorale interesserà 14 delle 18 province che costituiscono il Paese. Presenti oltre 14mila candidati per 440 posti. L’appello al voto del grande Ayatollah al Sistani, massima autorità religiosa sciita del Paese. Respinta la candidatura di 60 esponenti per irregolarità nei documenti sui titoli di studio conseguiti.
Baghdad (AsiaNews/Agenzie) – Il 31 gennaio gli irakeni sono chiamati alle urne per il rinnovo dei consigli provinciali. Al voto gli elettori di 14 delle 18 province che costituiscono il Paese. Escluse dalla tornata elettorale le tre province del Kurdistan irakeno e Tamim, che comprende la città di Kikrkuk al centro di una aspra contesa fra le fazioni curda, araba e turkmena per il controllo degli ingenti giacimenti petroliferi presenti nel sottosuolo.
Le elezioni provinciali sono un importante banco di prova per verificare la tenuta del Paese e la possibilità di riprendere il cammino verso la democrazia e la stabilizzazione, sbandierata a lungo alla vigilia delle ultime elezioni politiche, nel 2005, e poi sconfessata dalla spirale di violenza che ha investito l’Iraq negli anni seguenti.
Per garantire la sicurezza dei cittadini, Baghdad ha previsto un ingente spiegamento di forze alle quali verranno affiancati gli oltre 140mila soldati americani ancora presenti in territorio irakeno. Gli elettori dovranno scegliere fra 14.431 candidati – espressione di oltre 400 partiti o movimenti politici – i quali si contenderanno i 440 seggi disponibili. Nei giorni scorsi la Commissione elettorale, incaricata di verificare la regolarità delle operazioni di voto, ha avviato una indagine a carico di 60 candidati, i quali avrebbero fornito false documentazioni sui titolo di studio conseguiti. Il grado di istruzione, infatti, è uno dei requisiti necessari per poter aspirare a un seggio all’interno dei consigli provinciali.
Le elezioni provinciali saranno la cartina di tornasole per il governo e il Paese in vista delle elezioni politiche – previste, secondo la Costituzione, nel dicembre 2009 – il vero banco di prova per il premier Nouri al Maliki e la sua squadra di governo. Gli osservatori occidentali manifestano ottimismo in vista del voto, sottolineando che le elezioni politiche del 2005 sono state un punto di svolta per il Paese, ma è nella continuità del processo democratico, di cui le elezioni sono la massima espressione, che si potrà valutare il processo di normalizzazione dell’Iraq. Il Paese è ancora oggi teatro di violenze e attentati, ma resta il miglioramento nel quadro generale, visto che fino a 18 mesi fa – quando il dato relativo alle vittime era 10 volte maggiore di quello attuale – sarebbe stato impensabile andare alle urne.
Con l’approssimarsi della scadenza elettorale, si moltiplicano gli appelli che invitano i cittadini a votare: fra questi vi è anche il grande Ayatollah al Sistani, massima autorità religiosa sciita del Paese, il quale pur ribadendo “equidistanza tra i vari schieramenti”, auspica una partecipazione massiccia. “Sua Eminenza – si legge in un comunicato diffuso dal suo entourage – invita tutti i cittadini, maschi e femmine, a partecipare alle prossime elezioni e ribadisce di non boicottarle, nonostante non si possa essere totalmente soddisfatti dell’andamento della precedente tornata elettorale”. Anche i seguaci del leader sciita Moqtada al-Sadr, comandante dell’ “Esercito del Mahdi”, mantengono un basso profilo, non parlano di boicottaggio e annunciano il loro appoggio a liste con candidati indipendenti. Persino nelle aree a maggioranza sunnita, nel centro e nell’ovest del Paese, i gruppi tribali riuniti nel movimento “Awakening Councils” parteciperanno per la prima volta alle elezioni.
Secondo un recente sondaggio, elaborato dal centro di statistica governativo National Media Center, su un campione di 4570 irakeni, il 73% dei cittadini assicura la propria partecipazione al voto. Un terzo degli intervistati chiede di “migliorare i servizi a livello locale”, mentre quattro su dieci si augurano la vittoria di “esponenti laici, che non siano rappresentanti di gruppi o movimenti religiosi”. Più della metà si dice “soddisfatto del lavoro svolto dal proprio consiglio provinciale”.
Vedi anche