L’Asia, il continente delle violazioni della libertà di religione
Dal “Rapporto 2008 sulla Libertà Religiosa nel mondo” di “Aiuto alla Chiesa che soffre”, presentato oggi, risulta che sono asiatici 10 dei 13 Paesi del mondo ove si registrano “gravi limitazioni alla libertà religiosa” e 15 dei 24 nei quali esistono “limitazioni”.
Roma (AsiaNews) - E’ largamente l’Asia il continente delle violazioni della libertà di religione. Su 13 Paesi nei quali il “Rapporto 2008 sulla Libertà Religiosa nel mondo” di Aiuto alla Chiesa che soffre (ACS), presentato oggi a Roma, individua “gravi limitazioni alla libertà religiosa”, 10 sono asiatici: Arabia Saudita, Yemen, Iran, Turkmenistan, Pakistan, Cina, Bhutan, Myanmar, Laos e Corea del Nord. A far loro compagnia, gli africani Nigeria e Sudan e Cuba. E non basta: altri 15 Stati asiatici sono indicati tra quelli ove, comunque, si registrano “limitazioni alla libertà religiosa”. Anche qui, in tutto il resto del mondo ce ne sono solo altri nove.
Il Rapporto ACS, tradotto in sette lingue e che quest'anno si presenta in una veste internazionale, viene presentato contemporaneamente in Italia, Francia, Spagna e Germania.
Libertà di cambiare religione, di manifestare e praticare le proprie convinzioni religiose sia in privato che in pubblico, di sviluppare la propria vita religiosa, di trasmettere il proprio credo e di diffonderne i valori, il Rapporto analizza la presenza o la negazione della libertà religiosa in ogni nazione, fornendo dati e cifre, in molti casi, allarmanti. Ad illustrare i dati, con il presidente di ACS, padre Joaquin Alliende. padre Bernardo Cervellera, direttore di AsiaNews, Camille Eid e Marco Politi, coordinati da Paola Rivetta.
L’esame delle violazioni alla libertà religiosa va dall’Arabia Saudita, che dichiarandosi “integralmente” islamica, continua a vietare ogni manifestazione pubblica di fede non musulmana (avere Bibbie, portare un crocifisso, un rosario, pregare in pubblico), al Bhutan, dove non solo è impedito l’ingresso a missionari non buddisti ed è limitata o non permessa la realizzazione di edifici religiosi non buddisti, ma è richiesto che tutti i cittadini indossino le vesti della etnia Ngalop, che è soprattutto buddista, negli uffici pubblici, nei monasteri, nelle scuole e durante le cerimonie ufficiali. Si va dal Myanmar, con la sanguinosa repressione dei monaci, alla Corea del Nord, ove è vietato praticare la fede e dove continua a non esserci neppure un sacerdote o un monaco, tutti con ogni probabilità uccisi nei decenni passati, così come 300mila cristiani. E ci sono l’India, resa tristemente famosa in questi giorni dai pogrom anticristiani, e la Cina, con l’oppressione sistematica delle Chiese, dei buddisti tibetani e dei musulmani uiguri e con sacerdoti e pastori in prigione, fino al paradiso turistico delle Maldive dove la Costituzione riserva ai musulmani tutte le cariche politiche, giudiziarie e amministrative, il governo applica la sharia ed è vietata qualsiasi manifestazione pubblica di altre religioni.
Un quadro delle violazioni che è anche “visibile”, grazie ad una mappa allegata al volume e che “disegna” i luoghi ove ancora oggi si soffre a causa della fede.
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