L’America esorta il Giappone a fare scuse ufficiali alle “donne conforto”
Tokyo (AsiaNews) – Difficilmente se ne parlerà nella appena iniziata campagna, ma subito dopo il voto del 28 luglio, il governo di Tokyo si troverà di fronte ad una risoluzione del parlamento statunitense che chiede le scuse ufficiali del Giappone per lo sfruttamento sessuale di migliaia di donne asiatiche da parte dell’esercito imperiale, le cosiddette “donne conforto”.
Una risoluzione in tal senso è stata infatti approvata il 26 giugno dalla commissione affari esteri del Congresso a schiacciante maggioranza (39 contro 2) ed ora sarà presentata questo mese in aula per un’approvazione che è data per scontata.
La mozione è paradossale per due motivi. Primo、perché il suo promotore è un parlamentare democratico, Michael Honda, di discendenza giapponese. Quando l’’ha presentata (gennaio) ha subito chiarito che l’iniziativa non intendeva essere una mancanza di rispetto alla nazione dei suoi antenati, ma uno stimolo per renderla migliore. Secondo, perché, pur non essendo obbligante, pone il governo giapponese di fronte a una scelta morale che non può più disattendere.
Dopo il passaggio della mozione , la presidente della Camera, Nancy Pelosi, ha detto.: “Attendo impazientemente l’approvazione da parte del Parlamento, perchè essa manderà al mondo un forte messaggio di solidarietà con le ‘donne conforto’: noi non intendiamo dimenticare gli orrori da esse sopportati”. Tom Lantos, capo della commissione, introducendo la mozione si è preoccupato di distinguere la funzione del Giappone di oggi dal suo passato problematico. “La resistenza del governo giapponese a presentare scuse ufficiali e inequivocabili alle donne costrette a divenire schiave sessuali durante la seconda guerra mondiale - ha detto - è in aperto contrasto con il suo ruolo nel mondo di oggi”.
Il governo di Tokyo e i politici della destra nazionalista giapponese, consapevoli dell’influenza che tale mozione avrebbe avuto sull’opinione mondiale, si sono impegnati al massimo per ostacolarla o addolcirla. In aprile il primo ministro Shinzo Abe, durante la sua visita ufficiale negli Stati Uniti, in un incontro con i parlamentari statunitensi ha ribadito che la sua posizione al riguardo coincide con la dichiarazione Kono del 1993: in essa il governo riconosceva il coinvolgimento dell’esercito e chiedeva scusa alle vittime. La spiegazione non è stata sufficiente.
Ma l’iniziativa, che ha ottenuto l’effetto opposto a quello desiderato, è stata l’inserzione a piena pagina sul Washington Post da parte di personalità giapponesi. Vi si leggeva, tra l’altro, che le “donne conforto”, “lavoravano nel contesto della prostituzione autorizzata, allora comune in molte parti del mondo”. Riferendosi all’infelice frase Lantos l’ha dichiarata “asserzione ridicola totalmente contraria ai fatti”. Pelosi pur riconoscendo che “il Giappone è amico stimato e alleato importante”, ne esortava il governo “a fare di più (a livello morale). I giapponesi hanno aspettato troppo a lungo (a chiedere scusa in maniera soddisfacente) ma non è troppo tardi per riconoscere il loro coraggio”.
L’approvazione ha suscitato un terremoto in Giappone con reazioni contrastanti.
Il governo ha assunto un atteggiamento in apparenza neutrale. Per Yasuhisa Shiozaki, segretario-capo del Gabinetto, “non è appropriato per il governo fare commenti su iniziative di una legislatura straniera”. Meno diplomatico è stato il premier Abe che pur ribadendo il commento del segretario, non si è trattenuto dall’esprimere il suo dispiacere dicendo: “Un grande numero di risoluzioni sono state approvate dal Congresso americano e penso che questa sia una delle tante”. Era come dire che la inflazione delle risoluzioni le svaluta! Una gaffe diplomatica che non è la prima da parte sua.
Un gruppo di parlamentari giapponesi appartenenti sia al partito liberal-democratico, quello di Abe, che al partito democratico del Giappone (opposizione) hanno ancora detto che la mozione “non era basata sui fatti e che gettava un’ombra sul futuro delle relazioni tra Stati Uniti e Giappone”.
Di contenuto del tutto opposto sono le dichiarazioni del Japan Action Work, una organizzazione-ombrello che raccoglie 15 gruppi civici impegnati a favore delle ex “donne conforto”. Yoko Shiba, loro portavoce, ritiene l’iniziativa americana un passo avanti verso una concreta soluzione. “Ottenere scuse ufficiali e inequivocabili dal governo giapponese è un mezzo per restituire loro dignità”.
Soddisfatti i media sud-coreani. L’editorialista del The Korean Herald prende atto che orribili atrocità sono state compiute un po’ dovunque in quegli anni terribili. “Tuttavia – ha scritto - i tedeschi hanno chiesto scusa per l’olocausto e se ne sono assunta la responsabilità. È anche vero che durante la guerra il governo americano ha messo nel campo di concentramento tutti i cittadini di origine giapponese. Ma nel 1988 il presidente Ronald Reagan ha firmato una legge per chiedere loro scusa e offrire riparazioni”.
Al Giappone si chiede il coraggio morale di compiere un’azione chirurgica su una piaga ancora sanata. La tattica del temporeggiare non è più possibile.