Lutto per tre giorni dopo l'auto-immolazione di due monaci tibetani
Ngaba, nel Sichuan, è sempre di più l’epicentro della protesta anti-cinese della popolazione tibetana. Due giovani monaci scelgono di morire per la causa e la città chiude i battenti in segno di omaggio per le vittime. Invece di cercare il dialogo, Pechino manda gli agenti a perlustrare la zona.
Ngaba (AsiaNews) - La popolazione della cittadina di Ngaba ha deciso di rendere omaggio a due giovani monaci buddisti tibetani che si sono dati fuoco per protestare contro il dominio e la persecuzione cinese. Per tre giorni, l’intera cittadinanza ha tenuto chiusi gli esercizi commerciali e ha visitato i templi della zona per pregare e ricordare i due. Le autorità comuniste hanno scelto invece la linea dura: non hanno consegnato alla famiglia il corpo di uno dei due e sta piantonando le abitazioni “sensibili”.
L’auto-immolazione dei monaci è avvenuta lo scorso 7 ottobre. Khaying, 18 anni, e Choephel, 19 anni, erano entrambi studenti presso il monastero buddista di Kirti, alla periferia di Ngaba. Questo si trova nella provincia sudoccidentale del Sichuan, una delle aree a maggiore densità di tibetani. Essa, infatti, faceva parte del Tibet prima dell’invasione delle truppe maoiste. Dei due giovani il primo è morto per le ferite riportate, mentre il secondo si trova ricoverato in serissime condizioni.
Subito dopo aver appreso la notizia, tutti i cittadini di Ngaba “hanno chiuso negozi e ristoranti per mostrare il loro rispetto nei confronti dei due dimostranti”. Da almeno 3 anni il monastero di Kirti è uno degli epicentri della protesta anti-cinese: le autorità comuniste hanno provato prima a chiuderlo e poi a tenerlo sotto strettissima sorveglianza, ma esso è amatissimo dalla gente. L’auto-immolazione attraverso il fuoco sta prendendo sempre più piede fra i giovani monaci, che cercano così di attirare l’attenzione sulle terribili condizioni imposte da Pechino ai tibetani.
Kanyag Tsering vive nel monastero “gemello” di Kirti che si trova a Dharamsala, nord dell’India, sede dell’esilio del Dalai Lama e del governo tibetano in esilio. A Radio Free Asia spiega che “le autorità comuniste non hanno voluto consegnare il corpo del giovane monaco, ma soltanto le sue ceneri. Non hanno potuto neanche svolgere il giusto rituale funebre, sempre per colpa dei cinesi. Soltanto 4 monaci sono stati ammessi dentro la casa della vittima, che è guardata a vista dai poliziotti”.
Prima di darsi fuoco, i due monaci hanno urlato di volerlo fare “per la causa del Tibet” e per protestare “contro la situazione intollerabile che si vive a Ngaba”. Entrambi hanno invitato i locali a “non preoccuparsi per la loro morte”. La risposta della popolazione dimostra un risveglio sempre più ampio fra i tibetani sotto il dominio cinese. I roghi di protesta sono iniziati a marzo, e non accennano a diminuire: secondo il buddismo tibetano, l’auto-immolazione con il fuoco (che purifica) è una garanzia di buona rinascita.
L’auto-immolazione dei monaci è avvenuta lo scorso 7 ottobre. Khaying, 18 anni, e Choephel, 19 anni, erano entrambi studenti presso il monastero buddista di Kirti, alla periferia di Ngaba. Questo si trova nella provincia sudoccidentale del Sichuan, una delle aree a maggiore densità di tibetani. Essa, infatti, faceva parte del Tibet prima dell’invasione delle truppe maoiste. Dei due giovani il primo è morto per le ferite riportate, mentre il secondo si trova ricoverato in serissime condizioni.
Subito dopo aver appreso la notizia, tutti i cittadini di Ngaba “hanno chiuso negozi e ristoranti per mostrare il loro rispetto nei confronti dei due dimostranti”. Da almeno 3 anni il monastero di Kirti è uno degli epicentri della protesta anti-cinese: le autorità comuniste hanno provato prima a chiuderlo e poi a tenerlo sotto strettissima sorveglianza, ma esso è amatissimo dalla gente. L’auto-immolazione attraverso il fuoco sta prendendo sempre più piede fra i giovani monaci, che cercano così di attirare l’attenzione sulle terribili condizioni imposte da Pechino ai tibetani.
Kanyag Tsering vive nel monastero “gemello” di Kirti che si trova a Dharamsala, nord dell’India, sede dell’esilio del Dalai Lama e del governo tibetano in esilio. A Radio Free Asia spiega che “le autorità comuniste non hanno voluto consegnare il corpo del giovane monaco, ma soltanto le sue ceneri. Non hanno potuto neanche svolgere il giusto rituale funebre, sempre per colpa dei cinesi. Soltanto 4 monaci sono stati ammessi dentro la casa della vittima, che è guardata a vista dai poliziotti”.
Prima di darsi fuoco, i due monaci hanno urlato di volerlo fare “per la causa del Tibet” e per protestare “contro la situazione intollerabile che si vive a Ngaba”. Entrambi hanno invitato i locali a “non preoccuparsi per la loro morte”. La risposta della popolazione dimostra un risveglio sempre più ampio fra i tibetani sotto il dominio cinese. I roghi di protesta sono iniziati a marzo, e non accennano a diminuire: secondo il buddismo tibetano, l’auto-immolazione con il fuoco (che purifica) è una garanzia di buona rinascita.
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