Lo tsunami, tragedia e solidarietà nella globalizzazione
Ad un mese dal sisma e dal maremoto che ha distrutto la vita di quasi 300 mila persone, disperso case e memorie quotidiane, rivoluzionato la geografia di molte coste, nell'oceano Indiano comincia qua e là a spuntare qualche segno di vita. Il 26 dicembre scorso, le onde assassine hanno sommerso decine di migliaia di chilometri di territorio, penetrando fino a tre chilometri all'interno e inghiottendo tutto nel silenzio e nella morte. Ora la costa è piena dei rumori della ricostruzione: ruspe, animali perfino elefanti -, mani nude lavorano infaticabili : si ripulisce per ricostruire, si spazza via il passato per ricominciare a vivere. La Thailandia è il paese dove è più evidente la rinascita: le scuole sono iniziate da subito, i negozietti di turismo e souvenir sono stati riaperti, si ricostruiscono i grandi alberghi. In Indonesia, a Banda Aceh e Meulaboh, le città più provate dal sisma e dallo tsunami, sono riaperte le banche e i mercati rionali. Oggi sono anche riprese le lezioni nelle scuole. In tutte le nazioni segnate, i templi, le chiese, le moschee che nei giorni dopo il disastro erano divenuti immensi obitori, ora sono tornati ad essere luoghi di preghiera.
Si diceva che questa gigantesca tragedia avrebbe diffuso il cinismo e il disprezzo per Dio, divenuto l'accusato principale per la morte di centinaia di migliaia di innocenti. In realtà, le discussioni sull'ateismo sono state frequenti soprattutto lontano dalla tragedia, in Europa e in Italia. Là dove l'onda ha sommerso l'impotenza degli uomini è nata una coscienza maggiore di fede. Lo tsunami ha livellato la presunzione, ha unito in uno stesso destino ricchi e poveri, turisti e pescatori, locali e stranieri. Molti turisti e spettatori televisivi si sono accorti per la prima volta che attorno ai dorati e splendenti alberghi di Phuket e delle Maldive vivevano migliaia di persone analfabete che si abbronzavano non con le creme, ma con il duro lavoro quotidiano.
Per i sopravvissuti di entrambi i mondi è la riscoperta della fragilità dell'uomo e la gratitudine a Dio per la vita. Un turista delle Maldive, che ha avuto salva la vita sua e di sua figlia, ha confessato di aver riscoperto la preghiera; un pescatore di Banda Aceh, che per 8 giorni è stato in mare, aggrappato ad un pezzo di tronco, ha ringraziato Allah per la sua misericordia. La vita e la morte sono nelle mani di Dio; nella vita e nella morte "Dio non ci abbandona", ha detto Giovanni Paolo II. Le sue parole sono confortate dal fatto che a poche ore dal disastro, i cristiani di tutti i paesi segnati dal maremoto si sono messi al lavoro in un'opera quasi sovrumana di solidarietà: ricomporre le salme, ricercare i dispersi, curare i feriti, dare riparo ai sopravvissuti e conforto ai bambini, consolare i disperati, senza alcuna distinzione di razza o religione. Con loro anche molti missionari e missionarie del PIME, lanciati in una gara di solidarietà e di amore, più duratura e più fedele di un semplice sms. Il loro lavoro è apprezzato addirittura dai fondamentalisti indù che negli anni passati si sono contraddistinti per le loro violenze contro i cristiani: missionari uccisi, scuole cattoliche bruciate, chiese assaltate.
Un altro frutto dello tsunami è proprio la collaborazione fra persone di diverse religioni. Le testimonianze sono tante: gruppi di medici cattolici inviati dalla diocesi di Medan in Nord Sumatra lavorano fianco a fianco con infermieri e infermiere musulmani di Jakarta; cattolici e buddisti raccolgono famiglie senza tetto nello Sri Lanka; in India, dove avvengono spesso conflitti fra indù e musulmani, le moschee offrono ospitalità a tutti.
La tragedia dello tsunami ha fatto emergere l'enorme piccolezza dell'uomo, la possibile indifferenza di una natura pure maestosa, la vita riscoperta non come nostra proprietà, ma come grazia e regalo. Grazie alla fede dei sopravvissuti siamo tutti, anche noi "sopravvissuti" dello tsunami - la piccolezza e la grazia sono divenuti il motore di una sterminata carità, che si è dilatata in tutto il mondo. Il disastro dello tsunami, prima tragedia globalizzata, ha trovato anche una risposta di solidarietà globalizzata in tutti i paesi del mondo. Fra tutti colpisce la carità offerta ai sopravvissuti da persone segnate già loro da tragedie: i filippini segnati dai tifoni e povertà; i ragazzi di Beslan sopravvissuti all'attacco terrorista; le Molucche ferite da anni di guerra islamo-cristiana. Per una volta, è stata la carità dei popoli a spingere gli stati a intervenire con aiuti sempre più massicci, là dove il potere e la politica consigliavano calcoli o sobrietà. Forse l'esperienza dello tsunami diverrà un simbolo di un nuovo mondo globalizzato nel bene.