Lo stop delle erogazioni di gas a Israele rimette in discussione gli accordi di Camp David
Il Cairo (AsiaNews/ Agenzie) - L'interruzione delle forniture di gas verso Israele dà il via a una nuova politica nelle relazioni fra il Cairo e Tel Aviv. Minimizzata da entrambe le parti come questione "solo economica", la chiusura del gasdotto da parte della Egyptian Natural Gas Holding Company (Egas) ha rimesso in discussione gli accordi di Camp David del 1978, a tutt'oggi ritenuti dall'establishment egiziano ed israeliano intoccabili. Ieri, durante le celebrazioni per il ritorno del Sinai all'Egitto (1982), un gruppo di giovani ha issato una bandiera con scritto "Sinai la tomba degli invasori", in riferimento ai soldati israeliani morti durante la crisi di Suez (1956). Secondo gli esperti, tali esternazioni sono segno dell'insofferenza della popolazione egiziana, vittima della crisi economica ed energetica e costretta per decenni ad accettare in silenzio le politiche filo-israeliane del governo Mubarak.
Nagui Damian, giovane copto fra i leader della rivoluzione dei Gelsomini, sottolinea che "la popolazione è per una revisione degli accordi economici con Israele. Essi tutelavano solo gli interessi politici del governo Mubarak e non hanno mai considerato la situazione di povertà delle famiglie egiziane". Secondo il giovane, la gente non vuole che il governo svenda le risorse pubbliche a un Paese accusato di gravi violazioni dei diritti umani nei confronti dei palestinesi.
Nonostante il crescente clima di tensione, da entrambe le parti nessun politico desidera l'interruzione dei rapporti fra i due Stati o la cancellazione degli accordi, che da oltre 30 anni garantiscono la pace nella regione e i finanziamenti economici degli Stati Uniti. Anche i Fratelli musulmani, da sempre contrari ai legami fra il Cairo e Tel Aviv, chiedono una revisione degli accordi, ma precisano di voler ottenere solo un trattamento economico più equo, che dia più dignità agli egiziani e una maggiore sicurezza nella Penisola del Sinai.
Ieri, Waleed al-Haddad, responsabile delle relazioni estere del partito Giustizia e libertà (Fratelli musulmani), prima forza politica egiziana, ha sottolineato al quotidiano israeliano Haaretz, che la situazione nel Sinai sta peggiorando. In questi mesi si sono registrati ben 14 attacchi contro gli oleodotti e assalti a villaggi da parte di gruppi criminali. La scorsa settimana i leader delle popolazioni nomadi della penisola hanno lanciato un appello al parlamento egiziano, chiedendo il dispiegamento di maggiori forze militari nella zona e accusando il governo di averli esclusi dal nuovo piano di sicurezza. "Il rispetto degli accordi firmati a Camp David nel 1978 - afferma Haddad - non è nella Costituzione, essi si possono modificare". Il leader fa notare che l'Egitto ha il diritto di aumentare la proprie forze di sicurezza nella zona e riprendersi parte della sua sovranità. A tutt'oggi gli israeliani possono passare il confine e viaggiare per la penisola senza visto. Il Sinai è meta per migliaia di turisti stranieri e sostiene la martoriata economia egiziana. "Senza la presenza dei militari - aggiunge - è impossibile dare alla popolazione condizioni di vita normale".
Shadi Hamid, esperto di politica internazionale del Brookings Doha Center, spiega che con l'avvento della democrazia in Egitto le scelte politiche devono corrispondere ai desideri della popolazione e gli "egiziani hanno poco interesse a mantenere un certo tipo di relazioni con Israele". Secondo Hamid, il futuro governo egiziano adotterà un atteggiamento simile a quello turco, che dopo i fatti della Mavi Marmara ha raffreddato i rapporti con Israele, ma non cancellato le sue relazioni diplomatiche. Egli sottolinea che le posizioni anti-israliane non andranno mai al di là di semplici critiche o manifestazioni. Infatti, anche i Fratelli musulmani, che dominano il parlamento egiziano e cercano l'approvazione dell'occidente guardano con timore alle crescita dell'estremismo islamico nella penisola del Sinai e potrebbero contenere eventuali atti violenti. Di recente i rivoluzionari del Sinai che dopo la caduta di Mubarak volevano distruggere il monumento al generale israeliano Moshe Dayan hanno accettato che sia solo coperto da una bandiera.