Lo Sri Lanka “democratico” vicino alla militarizzazione del Paese
di Melani Manel Perera
La denuncia del Christian Solidarity Movement (Csm). Nella provincia settentrionale, l’esercito è ancora in servizio e impone continue restrizioni, nonostante la guerra sia finita nel 2009. Attivisti cristiani per i diritti umani: “Basta stare in silenzio, dobbiamo agire per proteggere i nostri fratelli e sorelle”.
Colombo (AsiaNews) – “Pur essendo uno Stato democratico, lo Sri Lanka sta diventando un Paese militarizzato e le persone hanno paura di parlare”. Lo denuncia il Christian Solidarity Movement (Csm) in un seminario speciale di sensibilizzazione, sottolineando che la Chiesa deve agire per il miglioramento dell’essere umano, ma senza lasciarsi coinvolgere nella politica di partito, perché “come cristiani dobbiamo proteggere i nostri fratelli e sorelle”. L’incontro, intitolato “Attuali strategie di sviluppo e militarizzazione”, è avvenuto ieri al Centro per la società e la religione (Csr) di Colombo, con la partecipazione di membri del clero e rappresentanti della società civile.
Di ritorno da una visita di due giorni a Jaffna (provincia settentrionale), l’attivista cristiano per i diritti umani Lakshan Fernando ha affermato: “Il popolo di Jaffna vive ancora nella paura, non in pace. E nonostante la guerra sia finita, continuano a esserci molte restrizioni. Le vedove di guerra, senza alcun sussidio, faticano a crescere i loro figli. Quella gente sta vivendo senza dignità e senza speranza”.
La situazione è critica soprattutto per le popolazioni delle province settentrionale e orientale, a maggioranza tamil. Dal 1983 al 2009, queste zone dello Sri Lanka sono state teatro di una sanguinosa guerra civile tra il governo e i ribelli delle Tigri Tamil (Ltte), un’organizzazione militante che voleva creare uno Stato indipendente (il Tamil Eelam) in quelle province. Il lungo conflitto etnico si è concluso con la sconfitta dei ribelli. Secondo un contestato rapporto Onu, pubblicato lo scorso 24 aprile, i bombardamenti dell'aviazione militare hanno ucciso più di 40mila civili solo nell'ultima fase del conflitto (2005-2009).
“In Sri Lanka – ha puntualizzato JC Weliamuna, attivista per i diritti umani e procuratore – non può esserci militarizzazione, perché non è uno Stato militare. Oltretutto, la guerra è finita. I soldati devono stare dentro le caserme. Oppure devono essere congedati e reintegrati nella società. È lecito chiedersi perché il personale militare sia ancora in servizio, anche dopo il conflitto”.
“Perfino Dio non ha mai toccato la libertà dell’uomo – ha detto Mahinda Namal, attivista del Csm, a conclusione del seminario –. Ma noi, come cristiani e attivisti, non possiamo più rimanere tranquilli mentre vediamo seppellire la libertà. Dobbiamo agire contro quanto sta accadendo, se vogliamo vivere in questo Paese da persone libere, godendo dei nostri diritti”.
Di ritorno da una visita di due giorni a Jaffna (provincia settentrionale), l’attivista cristiano per i diritti umani Lakshan Fernando ha affermato: “Il popolo di Jaffna vive ancora nella paura, non in pace. E nonostante la guerra sia finita, continuano a esserci molte restrizioni. Le vedove di guerra, senza alcun sussidio, faticano a crescere i loro figli. Quella gente sta vivendo senza dignità e senza speranza”.
La situazione è critica soprattutto per le popolazioni delle province settentrionale e orientale, a maggioranza tamil. Dal 1983 al 2009, queste zone dello Sri Lanka sono state teatro di una sanguinosa guerra civile tra il governo e i ribelli delle Tigri Tamil (Ltte), un’organizzazione militante che voleva creare uno Stato indipendente (il Tamil Eelam) in quelle province. Il lungo conflitto etnico si è concluso con la sconfitta dei ribelli. Secondo un contestato rapporto Onu, pubblicato lo scorso 24 aprile, i bombardamenti dell'aviazione militare hanno ucciso più di 40mila civili solo nell'ultima fase del conflitto (2005-2009).
“In Sri Lanka – ha puntualizzato JC Weliamuna, attivista per i diritti umani e procuratore – non può esserci militarizzazione, perché non è uno Stato militare. Oltretutto, la guerra è finita. I soldati devono stare dentro le caserme. Oppure devono essere congedati e reintegrati nella società. È lecito chiedersi perché il personale militare sia ancora in servizio, anche dopo il conflitto”.
“Perfino Dio non ha mai toccato la libertà dell’uomo – ha detto Mahinda Namal, attivista del Csm, a conclusione del seminario –. Ma noi, come cristiani e attivisti, non possiamo più rimanere tranquilli mentre vediamo seppellire la libertà. Dobbiamo agire contro quanto sta accadendo, se vogliamo vivere in questo Paese da persone libere, godendo dei nostri diritti”.
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