Lo Sri Lanka alle elezioni, dopo le tante vittorie di Rajapaksa
di Melani Manel Perera
Sono le prime votazioni senza il pericolo di attacchi terroristi. Il presidente (definito “il re”) mira a vincere i due terzi del parlamento per varare riforme economiche e politiche. Le minoranze temono di essere emarginate. I leader religiosi, cristiani e buddisti chiedono dialogo e elezioni pacifiche.
Colombo (AsiaNews) – Il popolo dello Sri Lanka ha cominciato stamane a votare per un nuovo parlamento. Per la prima volta si tengono elezioni in modo libero in tutta la nazione senza timori di attacchi terroristi, dopo la vittoria del presidente Mahinda Rajapaksa contro le Tigri Tamil nel maggio scorso.
La coalizione del presidente pare non avere alcun concorrente di calibro. Ciò è dovuto anzitutto alla notorietà di Rajapaksa che vincitore delle Tigri, viene osannato come “il re” che ha salvato la nazione da trenta anni di guerra. Alle elezioni presidenziali dello scorso gennaio egli ha vinto con facilità. E proprio per cavalcare il suo successo egli ha dissolto il parlamento e ha annunciato le elezioni anticipate.
Un altro motivo di un sicuro successo della sua coalizione è che il suo principale sfidante, il gen. Sarath Fonseka è stato da lui messo in prigione, anche se il suo partito concorre alle elezioni. Fonseka è accusato di aver tentato un colpo di Stato e per questo sarà processato da una corte marziale. Il generale si difende dicendo che il processo contro di lui ha solo motivi “politici”. I Tamil, che alle elezioni presidenziali hanno sostenuto Fonseka, ora concorrono da soli.
Rajapaksa mira alla conquista dei due terzi dei 225 seggi del parlamento. Egli ha impostato la campagna elettorale dicendo che tale maggioranza schiacciante è necessaria per avviare riforme politiche e rilanciare l’economia del Paese. I suoi oppositori temono invece che tale margine aiuti il presidente ad allargare i suoi poteri e a soffocare le voci delle minoranze. Uno dei problemi più cocenti è la situazione di molti rifugiati ancora rinchiusi in campi profughi.
I leader religiosi cristiani e buddisti hanno continuato a chiedere il dialogo fra le parti e l’esclusione della violenza dalle elezioni. Durante la campagna elettorale vi sono stati piccoli episodi di violenza. Per oggi almeno 80 mila soldati sono schierati alle urne per garantire la sicurezza.
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