L'isola di Manus, risposta sbagliata (e scorretta) al problema dei migranti
Port Moresby (AsiaNews) - La "saga di Manus" ha virato verso il peggio lo scorso 17 febbraio, quando un iraniano che chiedeva asilo - identificato come Reza Barati, 23 anni - è stato ucciso all'interno del campo profughi presente sull'isola. Lo sdegno pubblico per l'accaduto contribuisce solo in parte alla comprensione e alla risoluzione del problema. Dal nostro punto di vista, ci sono alcune cose che vanno considerate se si vuole affrontare la questione con il cervello e non con la pancia.
Il primo punto da comprendere è che i richiedenti asilo e i migranti per motivi economici rappresentano un numero enorme in tutto il mondo. I tre punti focali sono con ogni probabilità il confine fra Stati Uniti e Messico; il mar Mediterraneo in Europa e il mare che divide l'Australia dall'Asia sud-orientale. Le persone povere o perseguitate cercano di raggiungere gli Usa, l'Europa o l'Australia. Ogni altra nazione di transito è considerata un passaggio temporaneo.
Un grande numero di richieste di asilo viene gestito dall'Agenzia delle Nazioni Unite competente per il tema. Ma un altrettanto grande numero di persone tenta di entrare nelle nazioni sopracitate - libere e tolleranti - con i propri mezzi; un processo che, parlando da punto di vista tecnico, è illegale.
Come principio di base, le nazioni devono difendersi dagli assalti indiscriminati di immigrazione. Ogni anno l'Australia accetta già un buon numero di rifugiati attraverso i canali delle Nazioni Unite. Per le altre migliaia di persone che cercano di attraversare il mare in maniera illegale, hanno concepito ora una "soluzione" per tenerle sulle coste indonesiane: impediscono ogni possibilità anche solo di fermarsi a Sydney, Melbourne o Brisbane. I nuovi arrivi vengono portati sulla remota isola papua di Manus e da lì rimandati indietro alle nazioni di origine. Se tuttavia sono davvero dei rifugiati, gli viene promessa la possibilità di sistemarsi in Papua Nuova Guinea. Una promessa che a loro non piace.
La Papua Nuova Guinea è in una soluzione difficile. Pervaso dalla corruzione e spesso dipendente dagli aiuti australiani, il nostro governo non ha potuto negare il suo "aiuto" all'Australia quando il governo Rudd gli ha chiesto di accogliere i boat people sull'isola di Manus. Il risultato di tutto questo è che oggi la Papua trattiene sul proprio territorio centinaia di persone in maniera illegale: questi non hanno fatto nulla contro i cittadini o le leggi papuane! Non hanno mai cercato di violare i nostri confini nazionali! E cosa succederà se gli australiani decideranno di chiudere tutto e lasciarseli alle spalle?
Ospitare i rifugiati in Papua Nuova Guinea? Noi non sappiamo se i due governi sono seri sulla questione o si tratta solo di una strategia per scoraggiare chiunque cerchi di raggiungere l'Australia in maniera illegale. Alcuni rifugiati con un titolo di studio potrebbero probabilmente vedersi offrire un lavoro in Papua, presso il Progetto LNG o altre compagnie. Ma la Papua Nuova Guinea ha la capacità di prendersi cura della loro situazione culturale, dell'impatto emozionale, della salute, istruzione e salvaguardia delle tradizioni (incluse quelle religiose)? La Papua può assicurare loro l'immunità da tubercolosi e malaria? Si integreranno davvero in una nazione di cui non sanno nulla e che non può offrire loro molto?
Nel frattempo Manus continuerà a essere un posto pericoloso. Le violenze esplodono dappertutto, molto più che in un campo di prigionia. Quando accadono cose del genere i ragazzi della Papua, poliziotti o guardie di sicurezza, iniziano a urlare inneggiando alla violenza. Le persone vengono colpite e rispondono. Loro muoiono e la Papua Nuova Guinea paga ancora una volta il prezzo dell'ostracismo internazionale. La "soluzione" di Manus è la risposta sbagliata (e scorretta) a un problema reale. L'Australia dovrebbe fare uno sforzo e ripensare tutta la situazione!
* missionario del Pontificio Istituto Missioni Estere in Papua Nuova Guinea