17/01/2025, 13.36
PAKISTAN
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L'inferno di abusi e schiavitù delle fabbriche di mattoni pachistane

di Shafique Khokhar

Nonostante le iniziative di legge le fornaci sono luoghi di "schiavitù generazionale", circoli di violenza da cui è quasi impossibile uscire. L'attivista per le minoranze Joseph Janssen ha liberato 32 persone di 6 famiglie cristiane. Le storie di Naseem, Mehwish e Safia e dei loro parenti raccontano la prigione esistenziale vissuta per decenni. Habib, uno dei sopravvissuti: "Vogliamo giustizia non solo per le nostre famiglie ma anche per chi ancora lavora lì".

Lahore (AsiaNews) - Per centinaia di migliaia di famiglie in Pakistan, le fornaci di mattoni sono luoghi di schiavitù generazionale, dove i debiti vengono trasmessi dai genitori ai figli, vincolandoli a una vita di duro lavoro. A tutt’oggi 4,5 milioni di lavoratori in circa 20mila fornaci rimangono inascoltati. Nonostante il Paese decenni fa abbia dichiarato illegale il lavoro forzato nato da questi vincoli, la pratica continua, nascosta nell'ombra e aggravata dalle crisi economiche e dalla scarsa applicazione della legge.

Abusi sessuali, traffico di esseri umani e gravi violazioni dei diritti umani aggravano ulteriormente le ingiustizie. In risposta a questa crisi, l'attivista per i diritti delle minoranze Joseph Janssen ha recentemente intrapreso una nuova missione in Pakistan, con l'obiettivo di liberare alcune famiglie cristiane intrappolate nella schiavitù delle fornaci di mattoni e di cercare giustizia per le donne rapite e convertite con la forza. In collaborazione con le organizzazioni locali, il team è riuscito a salvare 32 persone, tra cui bambini, membri anziani della famiglia e cinque donne che avevano subito oltre un decennio di schiavitù sessuale.

In seguito a questi salvataggi, Joseph Janssen sta fornendo assistenza legale per creare documenti d'identità perché molti non avevano un'identificazione ufficiale. Ha dichiarato ad AsiaNews: “Questo sostegno porta la speranza di una vita libera dalla schiavitù, una vita in cui possano lavorare per l'indipendenza e riprendere il controllo del proprio destino”. Tuttavia, le storie di Naseem, Mehwish e Safia evidenziano una questione più profonda: "L'urgente necessità che il Pakistan applichi le sue leggi, ponga fine agli abusi sessuali e allo sfruttamento in queste industrie e protegga i suoi lavoratori più vulnerabili”.

Naseem, minacce e violenze continue 

Naseem, madre di due figli e due figlie, ha dichiarato: “Non possiamo nemmeno mandare i nostri figli a scuola, non ce lo permettono. Dicevano che i nostri figli dovevano fare lo stesso lavoro per loro, perché noi eravamo i loro schiavi”. Durante la malattia venivano portati a lavorare con la forza, abusavano e picchiando i mariti. “Se ci rifiutavamo di fare sesso con loro, ci minacciavano di uccidere i nostri mariti e ci chiedevano indietro l'importo del debito”, ha aggiunto.

“Quando facevamo mille mattoni nella fornace, ci picchiavano, ci punivano e ci costringevano a fare altri mille mattoni per loro. Dovevamo lavorare quindici o sedici ore al giorno. Anche i miei figli di 8 e 9 anni erano costretti a lavorare con noi”, ha detto ancora Naseem. “Ci davano meno soldi in cambio del nostro lavoro. Pensavano che se ci avessero dato più soldi avremmo potuto lasciare la loro fornace di mattoni e saremmo potuti scappare dalla loro schiavitù”, ha aggiunto la donna.

Naseem ha ricordato un episodio in cui tutti i membri della sua famiglia, compresi il marito e i figli, erano malati e non avevano soldi per le medicine. Si recò dal contabile della fornace di mattoni e implorò un po' di denaro. In risposta, il contabile le disse che se avesse fatto sesso con lui le avrebbe dato del denaro per le medicine della sua famiglia. Anche lei era malata, ma per la sua famiglia ha dovuto sottoporsi a quella tortura.

Mehwish, pedinamenti e violenze sessuali 

Un'altra donna, Mehwish, ha raccontato ad AsiaNews: “Ogni volta che andavamo al bazar per comprare dei prodotti alimentari ci seguivano, pensando che potessimo scappare. Ci costringono a sedere sulle loro moto, ci portano in luoghi sconosciuti e ci violentano”. Quando l’attivista Joseph Janssen l’ha salvata dalla schiavitù, il proprietario della fornace di mattoni ha registrato un'inchiesta contro di lei, sostenendo che aveva rapito un bambino dalla fornace. “Ho adottato un figlio di mia sorella e l'ho cresciuto per cinque anni. Dopo la loro richiesta, la polizia è arrivata e mi ha portato via il bambino; per un mese ho dovuto affrontare attacchi di panico. Dopo un mese, con l'aiuto di Joseph Janssen, ho salvato mio figlio”.

Safia, vittima per decenni di abusi

Tra le persone salvate ci sono persone le cui storie rivelano tormenti inimmaginabili. Una di queste sopravvissute, Safia, vittima per decenni di abusi sessuali. Nata in una vita di stenti in una fornace di mattoni, ha iniziato a lavorare accanto ai suoi genitori fin da piccola. La sua famiglia era legata alla fornace da un debito del padre di circa 100mila rupie (circa 350 euro ndr), un fardello che li teneva schiavi. Dopo aver sposato un compagno di lavoro, ha continuato a lavorare senza sosta, sopportando temperature roventi ogni giorno mentre produceva mattoni.

Tuttavia, le sue difficoltà non si limitavano al lavoro fisico. Il proprietario della fornace di mattoni, Haji Abdul Ghafoor Ahmed, insieme ad altri, ha iniziato ad abusare sessualmente di lei dall'età di 12 anni. Gli abusi sessuali sono continuati anche dopo il matrimonio, sfruttando i momenti di assenza del marito. L'abuso, durato da 10 a 12 anni, era accompagnato da minacce di violenza in caso di resistenza. Le cicatrici fisiche ed emotive sono state aggravate dalla richiesta quotidiana di produrre 2mila mattoni a temperature che raggiungevano i 48 gradi.

Parlando con AsiaNews, Safia ha raccontato: “Eravamo in totale sei famiglie di parenti che lavoravano nella fornace di Ghafoor Ahmed. Il proprietario della fornace ci ha detto che le nostre sei famiglie avevano un debito con lui di 3,5 milioni di rupie (13.000 euro ndr). Ci picchiavano, abusavano sessualmente di noi e torturavano i nostri mariti, fratelli e padri. Nell'aprile del 2023, il proprietario della fornace di mattoni ci ha fatto un'offerta astuta: se tutte e sei le famiglie si fossero convertite all’islam, ci avrebbe liberato dalla schiavitù e dal debito. Se non avessimo accettato la sua proposta, ci avrebbe picchiato e avrebbe continuato ad abusare sessualmente delle nostre donne”. Nello stesso mese ha chiamato i media locali alla fornace di mattoni e li ha fatti convertire davanti alle telecamere. “Da lì ha iniziato a maltrattarci. Ci ha detto che dovevamo dargli 4 milioni (14.000 euro ndr) aumentando ulteriormente la cifra. Non abbiamo trovato aiuto da nessuna parte e siamo stati costretti a vivere come schiavi nella sua fornace”. 

“Il proprietario della fornace di mattoni, il guardiano e i contabili ci violentavano. Ci davano della droga ordinandoci di darla ai nostri mariti durante la notte e quando si addormentavano ci chiamavano e ci violentavano. Le nostre vite passate erano un incubo e vivevamo come in un inferno alla fornace di mattoni”. 

I sopravvissuti chiedono giustizia

Khurram, marito di Safia, ha dichiarato ad AsiaNews: “Siamo analfabeti; ci hanno oppresso con debiti falsi. Ci hanno maltrattati; hanno persino torturato mio padre settantenne perché non riusciva a fare più mattoni.  Non ci permettevano di andare in chiesa e ci obbligavano alla preghiera islamica. Ci picchiavano perché non digiunavamo nel mese di Ramadan”.

Habib, 70 anni, padre di Khurram, ha dichiarato: “Tutta la mia vita è stata trascorsa in schiavitù. Non avevamo dignità e rispetto, le nostre donne non erano al sicuro, venivano brutalmente violentate, ma non potevamo fare nulla per salvarle”. Ogni volta che cercavano di fermarli venivano torturati, picchiati e maltrattati dai proprietari delle fornaci. “Finalmente Gesù ci ha ha mandato Joseph Janssen, che ci ha salvati nell'agosto 2024. Ci ha fatto uscire da quel pantano di violenza e mancanza di rispetto. Da allora ha continuato a cambiare i nostri luoghi di residenza (ne abbiamo cambiati già sei per la nostra sicurezza) e a fornirci cibo e vestiti buoni”.

“Vogliamo giustizia, non solo per le nostre famiglie, ma anche per quanti ancora lavorano lì. Vorrei che quei mostri non potessero più rovinare la vita di nessuna ragazza o donna”, ha affermato Habib Masih. “Faremo le nostre dichiarazioni davanti ai giudici dei tribunali e cercheremo di mandare dietro le sbarre queste persone crudeli. Vorrei che più persone potessero lavorare come il nostro fratello Joseph e salvare centinaia di vite che sono ridotte in schiavitù nelle fornaci di mattoni”.

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