30/09/2023, 10.00
MONDO RUSSO
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L'identità di genere della Russia

di Stefano Caprio

Il problema della Russia è l’incertezza della sua collocazione, in una fluidità irrisolta tra Oriente e Occidente, tra Settentrione e Mezzogiorno. Incapace di esprimere una vera unità, come risulta evidente dalle sue istituzioni, ma anche dalle diatribe tra i dissidenti sovietici e i pacifisti di oggi.

Il neo-rieletto sindaco di Mosca, Sergej Sobjanin, fedelissimo di Putin in carica dal 2010 (confermato già nel 2013 e nel 2018), nativo di una regione di confine tra Europa e Asia, il distretto di Khanty-Mansi, è intervenuto al Forum economico di Mosca nei giorni scorsi, affermando che “la Russia non può confidare nei Paesi asiatici sul mercato delle tecnologie contemporanee, in quanto essi agiscono in modo ancora più rigido di quelli occidentali, quando si tratta dei loro interessi”. Sobjanin fu prelevato da Putin mentre era governatore della regione siberiana di Tjumen, ai confini con il Kazakistan, per sostituire l’ultimo grande avversario della precedente stagione eltsiniana, il sindaco Jurij Lužkov, che reggeva la capitale sul principio della pax mafiosa, lasciando ad ogni cosca il proprio spazio. La sua defenestrazione fu l’ultimo mattone della costruzione putiniana della “verticale del potere”: ogni gruppo, politico, economico o criminale, può sopravvivere in Russia solo come vassallo del Cremlino.

La tesi ribadita da Sobjanin che anche l’Asia stia conducendo “una guerra economica contro la Russia” al pari dell’America e dell’Europa, avanzata da chi ha rappresentato la grande sottomissione di tutte le latitudini nella “città-madre” dell’Eurasia, mette a nudo la condizione attuale di un Paese che non sa più da che parti girarsi. A sottolineare ulteriormente questo disagio, proprio mentre il sindaco di Mosca esternava le sue preoccupazioni, è stato il video del ricevimento al Cremlino del presidente del Sudan meridionale, Salva Kir Mayardit, apparso con il suo tipico cappello a tesa larga e il bastone, davanti a Putin che gli metteva gli auricolari cercando goffamente di insegnare come usarli. La scena ha rappresentato la totale incomprensione e distanza etno-culturale, in una deriva della Russia verso terre esotiche e al di fuori di ogni contesto geopolitico, economico e militare, visto che l’unico legame russo con il Sudan era la compagnia Wagner ormai dissolta nella tragicommedia della “morte di Prigožin”.

La Russia africanizzata deve constatare quanto l’Oriente agognato “cerchi di trarre il massimo vantaggio dalla situazione che si è creata”, spiega Sobjanin, vale a dire dalla folle guerra contro l’Ucraina e l’Occidente intero. Se le sanzioni americane ed europee gravano sulla società russa, privandola di soldi e materiali, “gli asiatici usano contro di noi il dumping rovesciato, vendendoci a prezzo raddoppiato non ciò che ci serve, ma ciò che fa comodo a loro, mentre loro ci comprano il petrolio a metà prezzo”, aggiunge il vassallo moscovita. O perdere tutto, o prendere tutto a condizioni capestro: questa sembra essere la prospettiva dell’economia russa per i prossimi decenni.

Il problema, del resto, non è soltanto l’economia, per quanto possa essere decisiva per la vita delle persone, o per la conclusione delle guerre. Il problema della Russia è l’incertezza della sua collocazione, paradossalmente la sua “identità di genere”, in una fluidità irrisolta tra Oriente e Occidente, tra Settentrione e Mezzogiorno. La scelta di quale parte assumere cambia di giorno in giorno, a seconda del capo “amico”, “fraterno” o “nemico” o soltanto “non amichevole” da abbracciare o da assalire, all’Onu o al G20, ai Forum europei di San Pietroburgo o a quelli asiatici di Vladivostok. È un problema originario dell’unico popolo bi-continentale, sparso sul territorio più vasto del mondo per unirlo in una nuova rivelazione di amore universale, ma incapace da sempre di andare d’accordo con i vicini, dal confine ucraino a quello giapponese, tanto per ricordare le due guerre russe che hanno aperto gli ultimi due secoli.

I russi sono un popolo incapace di esprimere una vera unione, come risulta evidente sia dalla diaspora, sia dalle sue istituzioni. All’estero i dissidenti sovietici, e quelli pacifisti di oggi, non sono mai riusciti a trovare alcuna forma di coordinamento. E all’interno va ancora peggio, come risulta dall’ultimo biglietto fatto uscire nei giorni scorsi dal lager dal principale oppositore a Putin, Aleksej Naval’nyj: “Andate al diavolo voi e le vostre coalizioni, non ci servono i vostri coffee-break con le brioche… da noi le opposizioni congiunte sono pure perdite di tempo, tra quelli che sanno solo boicottare come Garri Kasparov, o che dicono di votare ovunque se sembra utile come Maksim Kats, o noi che cerchiamo un voto utile, partecipando solo alle elezioni che possano dare fastidio a Putin”. Secondo Naval’nyj “ci abbiamo provato tante volte, e non abbiamo ottenuto alcun risultato, adesso basta, è solo una recita, un’imitazione della vera attività politica, quando sarà il momento noi sceglieremo il nostro candidato per le elezioni presidenziali”, chiudendo in questo modo la porta in faccia a tutti gli “amici”.

Anche nel campo del potere putiniano la “grande unità” si fonda sulla divisione, unica ragione dell’uso della forza come sistema di governo. In Russia tutti sanno bene che il consenso del popolo allo zar è pura finzione e conformismo, non è l’amore reciproco della narodnost vagheggiata dagli slavofili in forma verticale come quella putiniana odierna, o della sobornost in senso orizzontale predicata dai monaci di Optina Pustyn, come quella dell’attuale patriarca Kirill. È l’imposizione dei siloviki, gli uomini della forza come Putin e tutti i suoi sgherri, per annientare i nemici interni e i traditori, e se serve anche gli amici, come Prigožin o Kadyrov. È lo stesso Putin a ribadire questa motivazione, come quando affermò al Forum Economico d’Oriente del 2022 che “in Russia c’è una grande polarizzazione, e questo è soltanto un vantaggio, perché così tutto ciò che non serve, che ci procura danni e ci impedisce di andare avanti, verrà gettato via”.

Dal punto di vista religioso è l’interpretazione letterale della “Ortodossia”, intesa come distinzione dalla “eterodossia”, dagli eretici da condannare ai tempi dei Concili dell’epoca patristica, quando venne coniato il termine. I veri ortodossi hanno bisogno del nemico per affermare la propria fede, come nella profezia medievale della Terza Roma, che salva il mondo da “eretici, invasori e sodomiti”. Dichiarare eretico lo stesso patriarca Kirill, come vorrebbero fare da tante parti affibbiandogli l’accusa di “filetismo”, nazionalismo religioso, è in realtà la migliore definizione a cui i russi aspirano: essere da soli contro tutti, sia nella guerra reale sia in quella spirituale, è la vera garanzia della propria superiorità morale, politica e religiosa.

A questo punto non serve spiegare quale sia veramente la propria identità, in che cosa consistano i propri “valori tradizionali”: basta dire che noi “siamo contro l’Occidente collettivo”, che cerca di “imporre i suoi pseudo-valori”. Tanto è vero che la “svolta ad Oriente” non è mai stata accompagnata da alcuna segnalazione di “valori comuni” con gli asiatici, siano essi la coesione intorno al capo, la capacità di sacrificio o chissà quale sintonia tra il cristianesimo ortodosso, l’islamismo moderato o il comunismo confuciano. Il russo non vuole la guerra, ma non vuole darla vinta ai nemici; disprezza il potere dittatoriale, ma non sopporta le divisioni tra partiti diversi; aborrisce l’omosessualità e la fluidità di genere, ma cambia orientamento ogni giorno su tutto. La democrazia è un inganno, l’ecumenismo è un complotto, il liberalismo è il dominio dei poteri forti... e la Russia rimane un enigma della storia.

La questione del gender rivela una condizione che la Russia rende paradossalmente evidente con la somma delle sue contraddizioni, ma è forse l’ora di riconoscere che si tratta di una questione epocale e universale, e non certo soltanto a livello di orientamenti personali e sessuali. Il mondo di oggi è caratterizzato soprattutto dalla perdita dell’identità, individuale e collettiva, politica e culturale, morale e religiosa: è in crisi la democrazia in tutte le sue varianti e latitudini, è in crisi l’economia globalizzata, è in crisi il sistema di valori che si riteneva fondamentale per lo sviluppo sociale, e si potrebbe allungare di molto la lista delle crisi.

La Russia esalta la famiglia, la natalità e la difesa della vita nascente, mentre è il Paese con più divorzi e aborti al mondo in percentuale, e con una crisi demografica che appare sempre più irreversibile. Del resto, perfino la Cina sta cercando di correre ai ripari contro il calo degli abitanti in tutte le sue megalopoli, e l’Europa non è certo messa meglio, respingendo le masse di migranti che potrebbero essere speranza per il futuro. Come spesso accaduto in passato, la Russia si sacrifica per il mondo intero, non certo con le sue vittorie e i suoi sogni di conquista, ma con la sua impotenza a raggiungere i propri sogni, svegliando in questo modo tutti gli uomini e i popoli da Oriente a Occidente.

 

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