Liberi i 29 operai cinesi rapiti dai ribelli sudanesi
I miliziani hanno consegnato gli ostaggi alla Croce rossa internazionale, dopo giorni di mediazione con i funzionari dei governi di Pechino e Karthoum. Gli operai si trovano ora a Nairobi e verranno rimpatriati nei prossimi giorni. Essi erano stati sequestrati lo scorso 28 gennaio insieme ad altri 18, che sono riusciti a fuggire. Uno di loro è stato ritrovato morto dall’esercito sudanese.
Pechino (AsiaNews/ Agenzie) – Sono liberi i 29 operai cinesi rapiti nei giorni scorsi in Sudan dai ribelli del Sudan People's Liberation Movement-North (Splm- N) nello Stato del Kordofan meridionale. Fonti del ministero degli esteri cinese spiegano che i ribelli hanno consegnato gli ostaggi ai funzionari della Croce Rossa internazionale, che hanno fatto da intermediari con i sequestratori. Dopo la liberazione gli operai sono stati trasportati nell’ambasciata cinese a Nairobi (Kenya). Oggi Qiu Xuejun, ambasciatore cinese in Kenia ha confermato il rilascio degli ostaggi e sottolineato che godono di buona salute, anche se molti di loro sono ancora sotto shock.
La squadra di 29 tecnici lavora per la Sinohydro Corporation, industria cinese specializzata nella costruzione di condutture idrauliche in cemento. Essi sono stati catturati lo scorso 28 gennaio insieme ad altri 18 operai, per essere utilizzati come merce di scambio in una controversia fra il governo di Karthoum e i ribelli che da giugno controllano lo Stato del Kordofan del sud, ricco di petrolio. Dopo tre giorni di prigionia 17 sono riusciti a fuggire e sono stati soccorsi dall’esercito sudanese. Uno degli ostaggi è morto. Il suo cadavere è stato ritrovato ieri da alcuni militari.
Questo è il terzo sequestro di lavoratori cinesi in Sudan dal 2004. Nei giorni scorsi Pechino ha inviato un team di sei negoziatori per fare pressioni sul governo di Karthoum e assicurare il ritorno in patria dei 29 operai. Durante il sequestro, i funzionari cinesi hanno avuto diversi colloqui in Etiopia e in Kenya con i leader del Splm-N per trattare la liberazione degli ostaggi.
La Cina è il principale partner commerciale del Sudan, nonostante un embargo internazionale, ed è stata accusata di vendere armi usate nella guerra civile. Nel meridione secessionista si trova circa l’80% dei 480mila barili di petrolio estratti ogni giorno dalla China National Petroleum Corp. (che ne riceve il 60% circa), dalla malaysiana Petroliam Nasional Bhd. e dalla indiana Oil & Natural Gas Corp.
Pechino giustifica i rapporti con governi dittatoriali con la dottrina della “non-interferenza” negli affari interni di altri Paesi, anche in polemica con l’interventismo occidentale tacciato di “colonialismo”. Ma la Cina ha grandi interessi in Sudan: la Cnpc ha realizzato l’oleodotto di 1.500 chilometri che porta il petrolio dal sud a Port Sudan, le ditte cinesi hanno realizzato strade, interi quartieri, servizi. Una presenza invisa agli Stati Uniti che, secondo alcuni analisti, sarebbero intenzionati a contendere a Pechino il predominio nell'area.
La squadra di 29 tecnici lavora per la Sinohydro Corporation, industria cinese specializzata nella costruzione di condutture idrauliche in cemento. Essi sono stati catturati lo scorso 28 gennaio insieme ad altri 18 operai, per essere utilizzati come merce di scambio in una controversia fra il governo di Karthoum e i ribelli che da giugno controllano lo Stato del Kordofan del sud, ricco di petrolio. Dopo tre giorni di prigionia 17 sono riusciti a fuggire e sono stati soccorsi dall’esercito sudanese. Uno degli ostaggi è morto. Il suo cadavere è stato ritrovato ieri da alcuni militari.
Questo è il terzo sequestro di lavoratori cinesi in Sudan dal 2004. Nei giorni scorsi Pechino ha inviato un team di sei negoziatori per fare pressioni sul governo di Karthoum e assicurare il ritorno in patria dei 29 operai. Durante il sequestro, i funzionari cinesi hanno avuto diversi colloqui in Etiopia e in Kenya con i leader del Splm-N per trattare la liberazione degli ostaggi.
La Cina è il principale partner commerciale del Sudan, nonostante un embargo internazionale, ed è stata accusata di vendere armi usate nella guerra civile. Nel meridione secessionista si trova circa l’80% dei 480mila barili di petrolio estratti ogni giorno dalla China National Petroleum Corp. (che ne riceve il 60% circa), dalla malaysiana Petroliam Nasional Bhd. e dalla indiana Oil & Natural Gas Corp.
Pechino giustifica i rapporti con governi dittatoriali con la dottrina della “non-interferenza” negli affari interni di altri Paesi, anche in polemica con l’interventismo occidentale tacciato di “colonialismo”. Ma la Cina ha grandi interessi in Sudan: la Cnpc ha realizzato l’oleodotto di 1.500 chilometri che porta il petrolio dal sud a Port Sudan, le ditte cinesi hanno realizzato strade, interi quartieri, servizi. Una presenza invisa agli Stati Uniti che, secondo alcuni analisti, sarebbero intenzionati a contendere a Pechino il predominio nell'area.
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