Lettera del Papa dopo il sinodo sull’Eucaristia
Città del Vaticano (AsiaNews) – “Principio causale” dell’esistenza della Chiesa, manifestazione principale dell’amore di Dio, al quale anticipa la piena partecipazione, l’Eucaristia dà contenuto ad ogni aspetto della vita della Chiesa e deve conformare l’esistenza e i comportamenti dei fedeli. Significativamente intitolata “Sacramentum caritatis” la prima esortazione apostolica postisinodale di Benedetto XVI, resa pubblica oggi, è quasi un vademecum, un esposto sistematico del pensiero della Chiesa sull’Eucaristia, anticipazione di quel Compendio del quale annuncia la preparazione.
“Fonte e culmine della vita della Chiesa”, la chiama il Papa, che sottolineandone l’aspetto di “dono che Gesù Cristo fa di se stesso” ne fa discendere tutta la serie di conseguenze che ciò comporta sia sul modo di essere della Chiesa che su quello di sentirsi, prima ancora che di comportarsi, dei fedeli. Sono quegli aspetti concreti che maggiormente colpiranno l’attenzione e che confermano indicazioni consolidate, come l’impossibilità per i divorziati risposati di accedere ai sacramenti, la necessità della presenza del sacerdote per la celebrazione della messa, la scelta del celibato sacerdotale, la consapevolezza che i politici cristiani debbono avere della loro “grave responsabilità sociale” di fronte ai “principi non negoziabili”, quali “il rispetto e la difesa della vita umana, dal concepimento fino alla morte naturale, la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, la libertà di educazione dei figli e la promozione del bene comune in tutte le sue forme (n. 83)”.
L’esame delle questioni legate all’Eucaristia scende fino alle raccomandazioni sulla visibilità dei confessionali ed alla collocazione del tabernacolo, necessariamente centrale, toccando anche la possibilità di uno spostamento dello scambio della pace al momento della presentazione dei doni all’altare (n. 49).
“La prima realtà della fede eucaristica – scrive Benedetto XVI – è il mistero stesso di Dio, amore trinitario (n. 7)”. Un “dono assolutamente gratuito”, nel quale “si rivela il disegno di amore che guida tutta la storia della salvezza (n. 8)”. “Costitutiva, dunque, dell’essere e dell’agire della Chiesa”, ne rappresenta l’inseparabilità e ne fonda la comunione tra i fedeli. Anzi, l’Eucaristia è la “suprema manifestazione sacramentale della comunione nella Chiesa”. Al tempo stesso, “non possiamo tenere per noi l’amore che celebriamo nel Sacramento. Esso chiede per sua natura di essere comunicato a tutti (n. 84)”. “Una Chiesa autenticamente eucaristica è una Chiesa missionaria”.
La centralità della famiglia
Sulle orme del Sinodo, le conclusioni del quale sono confluite nella esortazione, Benedetto XVI evidenzia quindi il rapporto inscindibile che esiste tra l’Eucaristia e la vita della Chiesa e dei fedeli. “Ricevere il Battesimo, la Cresima ed accostarsi per la prima volta all’Eucaristia, sono momenti decisivi non solo per la persona, ma anche per l’intera famiglia, la quale deve essere sostenuta nel suo compito educativo dalla comunità ecclesiale, nelle sue varie componenti (n. 19)”. Si evidenzia così una delle costanti del documento: la preoccupazione per la centralità della famiglia. “Matrimonio e famiglia sono istituzioni che devono essere promosse e difese da ogni possibile equivoco sulla loro verità, perché ogni danno arrecato ad esse è di fatto una ferita che si arreca alla convivenza umana come tale (n. 29)”. A partire dal matrimonio, “intrinsecamente connesso all’unità eucaristica tra Cristo sposo e la Chiesa sposa (n. 27)”. Proprio in quanto è espressione di questa “irreversibilità” il matrimonio implica “quella indissolubilità alla quale ogni vero amore non può che anelare”. Di qui deriva la questione dei sacramenti ai divorziati risposati, “problema pastorale spinoso e complesso, una vera piaga dell’odierno contesto sociale, che intacca in misura crescente gli stessi ambienti cattolici (n. 29)”. E se c’è la conferma della non ammissione ai sacramenti, c’è anche la richiesta di una “speciale attenzione” a farli sentire ancora – come sono – parte della Chiesa.
Centrale nell’analisi del tema Eucaristia, appare essere per Benedetto XVI la corretta celebrazione del sacramento. “La liturgia, come del resto la Rivelazione cristiana, ha un intrinseco legame con la bellezza: è veritatis splendor (n. 35)”. Ne discende l’attenzione per l’”ars celebrandi” e per “tutte le espressioni artistiche poste al servizio della celebrazione”, dall’architettura della chiesa alla musica, con la raccomandazione di “evitare la generica improvvisazione o l’introduzione di generi musicali non rispettosi della liturgia (n. 42)”. Ma l’importanza della celebrazione comporta anche la raccomandazione ai sacerdoti di preparare “accuratamente (n. 46)” l’omelia e di evitare che le celebrazioni per “piccoli gruppi (n. 63)” si trasformino in una frammentazione della comunità. Opposti i problemi legati alle celebrazioni di massa o a quelle connesse con eventi particolari, come matrimoni o funerali, ai quali possono essere presenti cattolici non praticanti o cristiani di altre confessioni. In questi casi vanno evitate “confusioni” sul significato dell’Eucaristia. La stessa preoccupazione motiva il rifiuto – tranne casi eccezionali – dell’ammissione all’Eucaristia dei non cattolici.
Un “mistero da vivere”
Proprio in quanto “abbraccia ogni aspetto dell’esistenza”, l’Eucaristia è anche “mistero da vivere”. Essa deve, cioè, conformare di sé la vita dei fedeli. A partire dal giorno della celebrazione, la domenica. Il “giorno del Signore è anche il giorno del riposo dal lavoro. Ci auguriamo vivamente – scrive il Papa – che esso sia riconosciuto come tale anche dalla società civile, così che sia possibile essere liberi dalle attività lavorative senza essere per questo penalizzati”. “Ciò ha senso perché costituisce una relativizzazione del lavoro, che viene finalizzato all’uomo: il lavoro è per l’uomo e non l’uomo per il lavoro (n. 74) ”.
La celebrazione del “giorno del Signore” naturalmente richiede la presenza del celebrante. In proposito il documento sottolinea la necessità che la sua mancanza per scarsità di sacerdoti non ingeneri confusioni in occasione, ad esempio, di riunioni di preghiera. La scarsità del clero, poi, non provochi una minore attenzione alle qualità del candidato al sacerdozio. Confermando la scelta della Chiesa per il celibato, infatti, il documento raccomanda ai vescovi una particolare attenzione ad evitare che, magari spinti dalla scarsità del clero, i vescovi “ammettano alla formazione specifica e all’ordinazione candidati che non possiedano le caratteristiche necessarie (n. 25)”.
Vale per sacerdoti e fedeli laici, invece, il principio che “la prima e fondamentale missione che ci viene dai santi Misteri che celebriamo è di rendere testimonianza con la nostra vita (n. 85)”. E se “anche oggi non mancano alla Chiesa martiri”, a tutti è chiesto di offrire testimonianza della fede. Nasce da qui la missione, che è “portare Cristo. Non solo un’idea o un’etica a Lui ispirata, ma il dono della sua stessa Persona. Chi non comunica la verità dell’amore al fratello non ha ancora dato abbastanza (n. 86)”.
La “comunicazione” della “unicità di Cristo e della salvezza da Lui compiuta” porta il documento a toccare il tema della libertà di religione. “Non sono poche le regioni del mondo nelle quali il solo recarsi in Chiesa costituisce un’eroica testimonianza (n. 87)”, scrive Benedetto XVI. “Preghiamo – aggiunge - perché si allarghino gli spazi di libertà religiosa in tutti gli Stati, affinché i cristiani, come pure i membri delle altre religioni, possano liberamente vivere le loro convinzioni, personalmente e in comunità (n. 87)”.
Una vita pacifica che peraltro l’Eucaristia, “sacramento di comunione” promuove. Attraverso il memoriale del suo sacrificio, Gesù “rafforza la comunione tra i fratelli e, in particolare, sollecita coloro che sono in conflitto ad affrettare la loro riconciliazione, aprendosi al dialogo e all’impegno per la giustizia. E’ fuori di dubbio che condizioni per costruire la vera pace sino la restaurazione della giustizia, la riconciliazione e il perdono. Da questa consapevolezza nasce la volontà di trasformare anche le strutture ingiuste per ristabilire il rispetto della dignità dell’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio (n. 89)”. Un compito che non è proprio della Chiesa, che però offre indicazioni attraverso la dottrina sociale e lancia un “appello a tutti i fedeli ad essere realmente operatori di pace e di giustizia (n. 89)”.
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