Lettera a Trump da Damasco: il giovane Rabee, mutilato, e i missili ‘belli e intelligenti’
Una lettera al presidente Usa da parte di un membro di Caritas Siria. La storia di un giovane che ha perso una gamba nell’esplosione di un razzo lanciato dai ribelli a Ghouta. Grazie alle protesi è tornato a camminare e vuole partecipare alla ricostruzione del Paese. Intanto Mosca e Washington continuano la guerra verbale. Il Consiglio di sicurezza Onu pronto a riunirsi, nel Mediterraneo navi da guerra e caccia pronti a colpire.
Damasco (AsiaNews) - Ha perso una gamba nell’esplosione di un razzo, lanciato dalla Ghouta orientale verso Damasco quando l’enclave era ancora in mano ai ribelli. In precedenza, la guerra gli aveva portato via il padre, unica fonte di sostentamento per la famiglia. Il desiderio rialzarsi del giovane Rabee e di partecipare alla ricostruzione della Siria è più forte di ogni missile, di ogni bomba, anche di quelle più intelligenti e belle che il presidente Usa Donald Trump ha promesso di lanciare sulla Siria. A raccogliere la sua storia e presentarla ai lettori di AsiaNews è Sandra Awad, responsabile Comunicazione di Caritas Siria, 40 anni, sposata e madre di due figli, che vive ogni giorno il dramma della guerra. La donna si rivolge all’inquilino della Casa Bianca, invitandolo a osservare con i propri occhi gli effetti del conflitto sulla popolazione civile.
Intanto continua la guerra (finora verbale) fra Stati Uniti e Russia, con Mosca che chiede per oggi una riunione urgente del Consiglio di sicurezza Onu per discutere della “minaccia” lanciata dal Washington, pronta ad attaccare la Siria. L’ambasciatore russo Vassily Nebenzia si dice “preoccupato” e “non esclude” alcuna “possibilità” visti i messaggi “bellicosi” degli Usa. La Casa Bianca ha comunicato di non aver ancora deciso tempi e modi dell’azione militare, in attesa di una valutazione più approfondita dei rapporti dell’intelligence sul presunto attacco con armi chimiche a Douma da parte dell’esercito di Assad. Al riguardo, il presidente francese Emmanuel Macron afferma di avere le “prove” dell’uso “di armi chimiche, quantomeno cloro”.
Se, al momento, l’ipotesi di un colloquio almeno telefonico fra Vladimir Putin e Donald Trump sembra remoto, nel Mediterraneo orientale continua il movimento di navi da guerra e aerei militari delle due superpotenze. Mosca sta riposizionando le unità militari ormeggiate nel porto siriano di Tartus, mentre la nave da guerra Usa Donald Cook ha lasciato il porto cipriota di Larnaca per dirigersi in acque siriane. Con i venti di guerra che soffiano impetuosi, in Italia il presidente del Consiglio uscente Paolo Gentiloni ha sottolineato che il Paese “non parteciperà ad azioni militari” e pur fornendo supporto logistico agli alleati non intende avere un “ruolo attivo”.
La bandiera siriana torna a sventolare sulla città di Douma, gli ultimi ribelli hanno consegnato le armi e si dirigono a nord, nei territori ancora controllati dall’opposizione. In attesa dei nuovi sviluppi, la popolazione prega e spera nella pace, con la speranza - come racconta Rabee - di poter partecipare e contribuire alla ricostruzione del Paese.
Di seguito, la storia raccolta dalla responsabile Caritas. Traduzione a cura di AsiaNews:
Caro signor Trump,
sono rientrata da poco a casa dopo aver visitato una famiglia, una famiglia di poveri cittadini siriani che hanno perso tutti i loro beni e proprietà in questa guerra. Mentre mi narravano le loro miserie, e mi raccontavano della loro bella casa nella cittadina di origine, che oggi è totalmente distrutta, mi sarebbe piaciuto consolarli nel solo modo in cui posso provare a farlo nel mio Paese: “Ringraziate Dio che siete ancora vivi. I danni materiali possono essere riparati col tempo, in un modo o nell’altro, ma la cosa più importante è che nessuno di voi sia ferito”.
Avrei tanto voluto consolarli in questo modo, ma non ho potuto farlo. Questa famiglia ha perso il padre, che era il solo a guadagnare il denaro necessario per portare a casa un po’ di cibo; nel 2016, il figlio Rabee (nella foto) ha perso la gamba fin sotto il ginocchio a causa dell’esplosione di un mortaio caduto a Damasco, e proveniente dall’area della Ghouta orientale.
Queste persone sono fuggite dalla morte e dal dolore nella loro cittadina di origine, a Ghouta; tuttavia, queste sciagure li hanno seguiti fino a Damasco, per distruggere quel poco di speranza che era rimasta delle loro vite, della loro forza, della loro dignità.
Signor Trump,
la maggior parte delle famiglie siriane annoverano tragedie analoghe. Se mai accadrà un giorno che lei possa lasciare il suo rifugio dorato negli Stati Uniti, e venire a visitare la Siria con i suoi occhi, ciascun cittadino che incontrerà mentre cammina per strada le racconterà storie tristi di sé, della propria famiglia, o di un parente stretto a lui particolarmente caro.
Cosa state cercando di fare e di ottenere con le vostre scelte e le vostre dichiarazioni, signor Trump? Volete farci vivere e sperimentare un dolore ancora più grande? Come se sette anni di sfollamento, di fame, di pessime condizioni di vita, di insicurezza, di sangue e della perdita di persone care non fosse ancora abbastanza!
Dunque, signor Trump, lei pensa davvero che il popolo siriano sia spaventato o anche solo interessati ai suoi missili nuovi, belli ed intelligenti? Mi creda, non importa niente a nessuno. Abbiamo già abbastanza dolore e sofferenza da sopportare ogni giorno nelle nostre vite, da avere altro tempo da dedicare all’attesa dei suoi diabolici missili.
Ciononostante, signor Trump, le voglio dire una cosa: Rabee sta bene. Egli è riuscito a mettere qualche chilo e ora ha le guance di un bel colorito rosaceo. Alcune persone di buona volontà in Polonia hanno raccolto una somma in denaro per lui, che ci hanno consentito di acquistare una protesi e garantirgli cure mediche adeguate.
Ogni giorno si allena per ore, con determinazione, per imparare a usare le protesi; egli è tornato a ridere ancora, ed è pieno di speranza che, un giorno, possa tornare a condurre una vita normale, che possa andare ancora a scuola camminando con la sua nuova gamba. Egli è tornato ancora a pensare al suo futuro. Rabee vuole partecipare alla ricostruzione della Siria, che lei invece vuole contribuire a distruggere con il suo denaro, i suoi missili intelligenti e il suo odio profondo.
*Responsabile della Comunicazione Caritas Siria
12/04/2018 10:21
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