Legge sulle violenze religiose, "questione di vita o di morte" per milioni di indiani
di Nirmala Carvalho
Il ministro degli Interni promette la rapida approvazione del Communal Violence Bill e pene più severe per i responsabili degli scontri intrreligiosi. Ma per P. Prakash, in prima linea per i diritti delle minoranze, il disegno di legge non previene la collusione di politica e polizia con i crimini confessionali.
Mumbai (AsiaNews) - Le promesse del governo centrale di approvare presto il disegno di legge contro le violenze a sfondo confessionale non bastano. Gli emendamenti al Communal Violence (Prevention, Control and Rehabilitation of Victims) Bill così come sono non servono realmente a punire i colpevoli delle aggressioni contro le minoranze, che più volte in passato hanno già insanguinato l’India. Ne è convinto p. Cedric Prakash, direttore di Prashant, istituto gesuita per i diritti umani, che con AsiaNews commenta le recenti dichiarazioni del ministro indiano degli Interni, P Chidambaram. In una visita in Tamil Nadu, lo scorso 13 aprile, il ministro ha fatto sapere che il disegno di legge verrà presto approvato e costituirà un importante strumento legale per perseguire i responsabili delle aggressioni mosse in nome di casta o religione. Anche la leader del partito Congress, Sonia Gandhi, ha chiesto di rendere più severe le pene per chi istiga o compie violenze interreligiose.
Da anni gruppi per i diritti umani e anche la Chiesa indiana sottolineano l’urgenza di emendamenti al Communal violence Bill del 2005, tornato al centro del dibattito politico dopo le ondate di attacchi contro i cristiani nell’Orissa nell’estate 2008. La bozza del disegno di legge che dovrebbe integrare il CVB è stata esaminata dalla Commissione parlamentare permanente, che ha suggerito alcune modifiche. Il testo legislativo in versione definitiva dovrebbe, a breve, essere presentato al Parlamento per il dibattito e per la votazione in aula.
Ma p. Prakash, da tempo critico del disegno di legge, rimane perplesso: “Così come è al momento, non assicura nessuna protezione contro le violenze a sfondo confessionale, perché non studia misure contro chi, nella politica e nella polizia, si macchia di quei crimini che invece dovrebbe prevenire”. Il gesuita fa esempi concreti: “Il disegno di legge conferisce maggiori poteri alle amministrazioni di quegli Stati, la cui classe dirigente persegue agende palesemente confessionali e d’istigazione all’odio religioso come quella di Modi in Gujarat, Naveen Patnaik in Orissa e Yedyyuruppa in Karnataka”. Il problema è anche educativo: “Il nuovo testo di legge, tra i doveri dello Stato centrale - continua p. Prakash - dovrebbe includere non solo la prevenzione dei crimini in senso stretto, ma anche quella di discorsi e di testi infiammatori come quelli di Bal Thackerey (leader del nazionalista Bharatiya Janata Party,) e Narendra Modi; di manuali e metodi educativi usati nelle scuole della Sangh Parivar (l’ombrello delle associazioni nazionaliste indù) e di discriminazioni sul lavoro o nella vita quotidiana, basate su casta, religione o genere”.
Inoltre, bisognerebbe riconoscere più apertamente il ruolo della polizia negli scontri confessionali: “Preoccupa che l’immunità garantita alla polizia nelle sezioni 195, 196 e 197 del Codice di procedura penale non sia stata cancellata per i crimini interreligiosi e contro le minoranze”.
“Prevenire, legalmente, il ripetersi di situazioni come quelle di Gujarat e Orissa – conclude il direttore di Prakash – è una questione di vita o di morte per milioni di cittadini appartenenti a minoranze religiose. L’urgenza di questa nuova legge è dimostrata dal fatto che negli ultimi 20 anni, formazioni politiche con agende apertamente razziste e discriminatorie hanno, più o meno direttamente, conquistato il potere in molti Stati, aspirando anche ad arrivare in futuro al governo centrale”.
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