Legge antisecessione contro Taiwan: un bluff o una reale minaccia?
Gli imprenditori non sono preoccupati; ma alcuni intellettuali chiedono a Pechino atteggiamenti "più flessibili e ragionevoli" verso Taiwan.
Pechino (AsiaNews) - La comunità degli imprenditori cinesi e stranieri non è per nulla preoccupata della legge antisecessione, che ammette l'uso della forza contro Taiwan, nel caso in cui l'isola proclami l'indipendenza. "Qui tutti siamo impegnati nel commercio e non abbiamo tempo per queste beghe" ha detto ad AsiaNews un imprenditore locale. "L'economia cinese - continua - cresce sempre di più e la Cina ha bisogno dei nostri investimenti e di quelli di Taiwan. Finchè ci sarà al potere Chen Shuibian a Taiwan, la Cina non oserà fare nessun passo di guerra". Il presidente di Taiwan è membro del Partito progressista democratico, che fra i suoi membri ha molti fautori favorevoli all'indipendenza dell'isola.
Secondo analisti, un gesto militare di forza contro Taiwan rischia di scuotere non solo l'isola, ma anche il continente: gli imprenditori di Taiwan sono infatti fra i partner commerciali più solidi del gigante cinese. Secondo dati del 2003, gli investimenti taiwanesi diretti in Cina hanno raggiunto un totale di 3,4 miliardi di dollari Usa. Nello stesso anno l'interscambio commerciale indiretto è stato di 58,4 miliardi di dollari, mettendo Taiwan fra i primi investitori in Cina. Al momento la Cina continentale ospita 60.623 imprese cinesi finanziate con fondi taiwanesi per un controvalore di 70 miliardi di dollari e 36,5 miliardi di dollari di investimenti effettivi.
Ogni anno la Cina deve trovare lavoro per almeno 20 milioni di persone, deve affrontare il problema della povertà nelle campagne e della disoccupazione nelle città. "Ciò significa ha detto l'imprenditore intervistato da AsiaNews che essa non può permettersi di squilibrare questo rapporto economico così necessario".
Altri analisti pensano che la legge anti-secessione venga varata soprattutto per "uso interno", anzitutto per esaltare un senso nazionalistico e di coesione in un paese sempre più diviso dal punto di vista dello sviluppo economico; in secondo luogo per fermare le spinte autonomiste di tibetani e musulmani dei Xinjiang. Un esperto di relazioni internazionali all'università Nankai di Tianjin, il prof. Pang Zhongying, afferma che "i leader cinesi cercano di utilizzare il nazionalismo come una forza positiva, per tenere insieme l'enorme popolazione, ma essi sono coscienti che il nazionalismo può sfuggire di mano e creare danni".
Unica voce pubblica preoccupata delle minacce di guerra contro Taiwan rimane il prof. He Guanghu, esperto di storia del cristianesimo all'università Renmin di Pechino. "Spero che la legge anti-secessione lasci un po' di spazi di manovra ai nostri capi. Spero che essa non freni la nostra leadership nell'adottare atteggiamenti più flessibili e ragionevoli verso Taiwan". Il prof. He ha scritto un saggio dal titolo "Lo stretto di Taiwan vuole la pace, non la guerra", ma nessun editore ha voluto pubblicarlo. "È una vera e propria disgrazia , ridicola e strana egli ha detto che in una nazione così grande come la Cina, con così tanti intellettuali, non vi sia nessuno che parli in questo modo".