Legale di Aung San Suu Kyi ottimista: smontate le accuse della giunta
La deposizione in tribunale del cittadino americano fa cadere i capi di accusa della giunta. Fonte di AsiaNews: la giunta militare ha favorito il suo ingresso nella casa della “Signora”. Blogger birmani chiedono dimostrazioni di piazza per liberare la Nobel per la pace.
Yangon (AsiaNews) – Gli avvocati di Aung San Suu kyi manifestano “ottimismo” e spiegano che non vi sono “motivi legali” per condannare la leader dell’opposizione birmana per “violazione dei termini degli arresti domiciliari”. Fonti di AsiaNews in Myanmar si augurano che il processo abbia un esito “positivo”, ma aggiungono anche che “non è facile che la ‘Signora’ venga liberata”.
La leader della Lega nazionale per la democrazia – fino al 26 maggio scorso agli arresti domiciliari – rischia cinque anni di carcere a causa dell’intrusione di John Yettaw, 53enne americano, nella sua abitazione. Nyan Win, uno degli avvocati della Nobel per la pace, spiega che “non vi sono i termini per condannarla”. Egli si dice “molto fiducioso per la vittoria, se il processo è condotto secondo la legge”; il legale lancia anche un allarme sulle condizioni della donna fonte di “grande preoccupazione”, perché soffre di “crampi alle gambe e necessita di cure mediche”.
A complicare i piani della giunta militare, che intende condannare Aung San Suu Kyi per impedirle di concorrere per le elezioni politiche del 2010, è sopraggiunta la testimonianza di John Yettaw in tribunale il 27 maggio scorso. Egli ha riferito di essere entrato nella casa della “Signora” una prima volta nel novembre scorso, fatto denunciato dalla donna alle autorità; nel secondo tentativo ha incontrato un gruppo di guardie che gli hanno scagliato addosso delle pietre, senza però impedirgli l’ingresso nell’abitazione. “Il governo sapeva bene chi fosse Yettaw – spiega la fonte di AsiaNews – e ha favorito i suoi piani per avere un pretesto per arrestarla. La testimonianza resa davanti alla corte ha però complicato la situazione, smontando il capo d’accusa. Per la giunta è più difficile trovare una ragione plausibile, di facciata, per condannarla”.
I legali di Aung San Suu Kyi aggiungono che fra le leggi citate per imprigionarla vi è anche la Costituzione del 1975, la quale però non ha più valore legale perché abrogata dallo stesso Than Shwe e dalla giunta militare quando, nel 1988, sono saliti al potere. In origine la sentenza era attesa per oggi, ma è probabile che venga posticipata al 1 giugno; i legali della Nobel hanno chiesto un incontro riservato per domani.
Intanto in rete si moltiplicano gli appelli per la liberazione di Aung San Suu Kyi. La campagna di raccolta firme lanciata da Assistance Association for Political Prisoners (Burma), in cui si chiede la liberazione dei detenuti politici birmani, ha superato le 650mila firme. Nei giorni scorsi è stato lanciato il portale 64ForSuu, in cui diplomatici, politici (fra i quali il premier britannico Gordon Brown), attori e scrittori (come Salman Rushdie) o privati cittadini di tutto il mondo possono pubblicare un messaggio o un video a sostegno della causa della leader dell’opposizione birmana.
Domani 30 maggio è il sesto anniversario del massacro di Depayin, in cui la giunta militare ha cercato di assassinare Aung San Suu Kyi. Un blogger birmano invita i propri concittadini a manifestare nei principali centri del Paese – fra cui la pagoda di Shwedagon e il carcere di Insein, a Yangon – indossando abiti bianchi. “Dopo la repressione nel sangue della rivoluzione zafferano – conclude la fonte di AsiaNews – la gente ha paura a manifestare pubblicamente e non intende farsi ammazzare dai militari. Vi potranno essere dimostrazioni isolate, ma a oggi è difficile ipotizzare un movimento di popolo”.
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