01/02/2017, 11.14
INDIA – USA
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Leader cristiano: Non solo Trump, anche l’India non accetta i musulmani

di Sajan K George

L’opinione mondiale è scossa dalla decisione del presidente americano di bloccare l’ingresso dei cittadini provenienti da sette Paesi a maggioranza islamica. In India, una modifica alla legge sulla cittadinanza prevede una soluzione simile. Sono esclusi del tutto i musulmani; potrebbero essere naturalizzate le minoranze perseguitate nei Paesi vicini, in particolare gli indù.

Mumbai (AsiaNews) – “Coloro che hanno avuto un sussulto di fronte all’ordine esecutivo di Trump che vieta l’ingresso ai profughi e ai cittadini provenienti da sette Paesi a maggioranza islamica, dovrebbero guardare a leggi simili proposte anche in India”. Lo afferma ad AsiaNews Sajan K George, presidente del Global Council of Indian Christians (Gcic). A proposito della decisione del neo-eletto presidente americano che ha scosso l’opinione pubblica mondiale, il leader cristiano riferisce che anche il governo indiano sta varando politiche simili. Un emendamento della legge sulla cittadinanza prevede che questa possa essere riconosciuta solo alle minoranze indù, sikh, buddista, giainista, parsi e cristiana di Afghanistan, Bangladesh e Pakistan. Perciò i musulmani sono esclusi del tutto. Persino coloro che soffrono “orribili forme di persecuzione”, come i Rohingya in Myanmar, i buddisti tibetani e gli uiguri in Cina. Di seguito il suo commento.

Il presidente americano Donald Trump ha approvato un ordine esecutivo che sospende per 120 giorni il programma di ingresso dei rifugiati e vieta per 90 giorni l’entrata dei cittadini provenienti da sette Paesi a maggioranza islamica – Yemen, Siria, Libia, Somalia, Iraq, Iran e Sudan. L’ordine è stato approvato con l’obiettivo apparente di proteggere la sicurezza nazionale degli Stati Uniti.

Mentre molti in India hanno avuto un sussulto per il modo in cui l’amministrazione Trump ha gestito la sua politica sui rifugiati e l’immigrazione, gli indiani dovrebbero guardare a bozze legislative simili che vengono proposte nel nostro Paese.

Il Citizenship (Amendment) Bill del 2016 è un breve documento di appena tre pagine che intende modificare la Sezione 2(b) del Citizenship Act. Quest’ultimo si occupa di acquisizione e perdita della cittadinanza indiana. La Sezione 2(b) definisce il termine di “migrante illegale”. Il Citizenship (Amendment) Bill propone una modifica della definizione di questo termine aggiungendo quanto segue: “Stabilisce che le persone appartenenti a comunità di minoranza indù, sikh, buddista, giainista, parsi e cristiana di Afghanistan, Bangladesh e Pakistan, che sono stati esentati dal governo centrale in base a o sotto la clausola (c) della sotto sezione (2) della sezione 3 del Passport (Entry into India) Act del 1920 e dall’applicazione delle previsioni del Foreigners Act del 1946 o di altro ordine successivo, non devono essere trattate come migranti illegali per gli scopi di questo Atto”.

Indù, sikh, buddisti, giainisti, parsi e cristiani provenienti da Afghanistan, Bangladesh e Pakistan sono quindi considerati idonei per la naturalizzazione come cittadini dell’India se essi sono residenti all’interno del Paese.

Il preambolo della legge, che spiega scopi e obiettivi dell’Atto, afferma: “Molte persone di origini indiane, comprese quelle appartenenti alle suddette comunità di minoranza…”. È chiaro che l’emendamento proposto non è rivolto a tutte le persone di origine indiana, ma solo ad alcune, cioè ai non musulmani.

È interessante notare che la legge non si rivolge a tutte le minoranze religiose di tutti i Paesi vicini, e in modo chiaro esclude molte comunità che vivono orribili forme di persecuzione, come i musulmani Rohingya del Myanmar, dove la popolazione è in maggioranza buddista, o i buddisti tibetani e i musulmani uiguri in Cina.

La legge sui rifugiati, se si è firmatari della Convenzione Onu del 1951 [sui rifugiati, ndr], considera la decisione di garantire lo status di rifugiato una questione di convenienza politica. Anche se non si vuole firmare la Convenzione del 1951, nulla vieta di approvare una legge interna che incorpora le sue principali disposizioni. Il fatto che il governo non sia interessato a farlo significa che garantire protezione alle vittime di persecuzione non rientra tra i suoi obiettivi primari.

Che cosa ci rimane allora? Il manifesto elettorale del 2014 del Bharatiya Janata Party ci dà la risposta. A pagina 37 del manifesto si afferma che “l’India deve rimanere la casa naturale per gli indù perseguitati ed essi devono essere accolti qui se sono in cerca di rifugio”. Perché l’India dovrebbe essere la casa naturale per gli indù perseguitati e opporsi invece ai cristiani e musulmani perseguitati? Evocare l’immagine degli “indù perseguitati” è un modo magistrale per spingere la nozione dell’India come “nazione indù” così come viene sostenuta dal Rashtriya Swayamsevak Sangh, e allo stesso tempo come qualcosa che è sotto attacco. Giusto la rivendicazione di una minaccia alla sicurezza nazionale.

Se il governo di Narendra Modi vuole fornire protezione alle minoranze religiose dei Paesi vicini e [allontanarle] dalla persecuzione – un lodevole obiettivo – non dovrebbe spingersi oltre l’esistente struttura internazionale della legge sui rifugiati. Aspetto centrale della definizione di rifugiato, così come stabilito dalla Convenzione sui rifugiati del 1951, è il fondato timore di essere perseguitati per motivi di religione, razza, nazionalità, appartenenza ad un particolare gruppo sociale o opinione politica da parte del Paese della propria nazionalità. Finora l’India ha rifiutato di approvare un ordine da parte dei governo centrale.

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