Le tensioni fra i partiti lasciano il Nepal senza governo
Kathmandu (AsiaNews) – A circa un mese dalle dimissioni del premier Madhav Kumar Nepal, continua la crisi politica in Nepal. Ieri i membri del parlamento non sono riusciti a eleggere un nuovo Primo ministro a causa delle divergenze presenti tra i vari partiti. Nessuno dei tre candidati proposti, tra cui l’ex premier maoista Prachanda, ha raggiunto il numero di consensi necessario per formare un governo di coalizione. La nuova votazione è prevista per il prossimo 23 luglio, ma è alto il rischio di un altro fallimento.
L’attuale stallo politico ed economico è dovuto alle continue frizioni tra l’Alleanza dei sette partiti, presente già al tempo della monarchia, e i maoisti, che nel 2008 hanno vinto le elezioni per l’assemblea costituente. Alla base della diatriba vi è il reintegro degli ex guerriglieri maoisti all’interno dell’esercito. Il leader maoista Prachanda, eletto primo ministro, ha infatti rassegnato le dimissioni nel maggio 2009 dopo il rifiuto del presidente Ram Baran Yadav al reintegro dei guerriglieri. Passati all’opposizione, i maoisti hanno continuato a destabilizzare il Paese attraverso scioperi e proteste, che lo scorso 30 giugno hanno costretto alle dimissioni il Primo ministro ad interim Madhav Kumar Nepal.
Al momento sono tre i partiti che possono presentare un candidato: Nepali Congress (NC), United Marxist-Leninist (UML) e Unified Communist Party of Nepal-Maoist (UCPN-M). Nessuno di loro possiede però i seggi necessari per formare da solo un governo in grado di prendere decisioni e i leader dei partiti minori non sono disposti a concedere voti agli avversari e ieri hanno votato in massa scheda bianca.
La crisi politica di questi mesi sta portando il Nepal verso la bancarotta e il rischio di una guerra civile. L’inesistenza di un governo blocca il varo del nuovo budget statale da oltre 1 miliardo di euro e gli aiuti dell’Onu, che fanno funzionare ospedali e scuole. Altro problema sono i 19mila guerriglieri maoisti ancora in armi confinati nei campi di addestramento, che aumentano il rischio di un nuovo conflitto armato nel Paese.