17/09/2015, 00.00
ONU - SIRIA
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Le tensioni fra Mosca e Washington ostacolano la fragile diplomazia Onu per la pace in Siria

L’inviato speciale Staffan de Mistura a Damasco per trovare una soluzione condivisa che metta fine al conflitto. Stati Uniti e Russia si scontrano sul sostegno (militare) di Mosca a Damasco. Obama e la politica del “Cacciare Assad” un ostacolo alla pace. Per il presidente siriano la crisi dei profughi è da imputare all’Europa. Dal Consiglio di sicurezza Onu si attendono risposte condivise.

Damasco (AsiaNews) - L’inviato speciale Onu per la Siria Staffan de Mistura è arrivato oggi a Damasco in visita ufficiale per discutere del piano di pace con i massimi esponenti del governo, fra cui il ministro degli Esteri Walid Muallem. Al centro dei colloqui vi è anche il documento di 60 pagine già consegnato all’esecutivo, nel quale sono raccolte 60 “idee” lanciate dal regime, dall’opposizione e dalla società civile per mettere fine a un conflitto sanguinoso che ha ucciso 240mila persone dal marzo 2011. Per Damasco la priorità è la “lotta contro il terrorismo”, cui si aggiungono i temi legati alla “sicurezza”, nodi politici da risolvere come le “elezioni”, la presenza “militare” sul territorio e le modalità per il raggiungimento del “cessate il fuoco”, cui seguirà l’opera di “ricostruzione”. 

Mentre sullo scacchiere siriano si tenta un nuovo e fragile cammino di pace, si inaspriscono le relazioni fra Washington e Mosca in riferimento alla presenza militare russa sul terreno. Il governo americano è in allerta da giorni, in seguito alla decisione del Cremlino di inviare truppe e mezzi a sostegno di Damasco. In risposta, Mosca rilancia il sostegno al presidente Bashar al-Assad nella lotta contro i miliziani dello Stato islamico e dei gruppi fondamentalisti (al Nusra) attivi sul territorio. 

Il presidente russo Vladimir Putin afferma che senza il sostegno della Russia alla Siria il flusso dei profughi verso l’Europa sarebbe ancor più consistente. Egli difende con forza la strategia della vicinanza ad Assad, che data da decenni.

La Russia auspica anche la formazione di una nuova coalizione internazionale chiamata a combattere Daesh (acronimo arabo per lo Stato islamico), che includa l’Iran e il governo siriano, perché l’attuale ha dato sinora risultati “molto modesti”. Una soluzione condivisa da Teheran, che rinsalda l’alleanza con Mosca nello scacchiere mediorientale concedendo il sorvolo dei mezzi russi diretti a Damasco. 

Le mosse della Russia preoccupano gli Stati Uniti, tanto che il segretario di Stato Usa John Kerry ha rivolto un messaggio diretto all’omologo russo Sergei Lavrov in cui chiede spiegazioni sul rafforzamento della presenza militare. Negli ultimi dieci giorni i due leader si sono sentiti tre volte per telefono nel tentativo di allentare la tensione. Per Kerry la vicinanza di Mosca a Damasco “mina i nostri sforzi condivisi nella lotta all’estremismo” e rilancia il processo di “transizione politica” partendo dalla cacciata di Assad, che non può essere un membro “credibile” nella lotta allo SI. 

Tuttavia, in questi giorni c’è chi ricorda che è da imputare proprio al governo statunitense il mancato accordo per una soluzione positiva della crisi siriana. Martti Ahtisaari, ex presidente finlandese e Nobel per la pace, impegnato nei primi negoziati afferma che nel 2012 è stata la Russia a lanciare un piano di accordo fra governo e opposizione che prevedeva, fra l’altro, l’uscita di scena di Assad, in modo onorevole. E sono stati gli Usa a respingere la proposta, convinti di poter eliminare in poco tempo il presidente siriano. 

Del resto il conflitto siriano rientra in un quadro più ampio di interventi militari programmati da Washington in passato contro “regimi” o governi considerati “ostili”: fra questi la Libia, l’Iraq, il Libano, la Somalia, il Sudan e l’Iran. Secondo gli esperti la condizione necessaria per una vera risoluzione del conflitto è che Barack Obama abbandoni la politica del “Cacciare Assad”, per evitare il ripetersi di errori commessi in passato dagli Usa a Tripoli e Baghdad, tanto per fare due esempi. 

Intanto Assad, forte del sostegno russo, punta il dito contro l’Europa quale principale responsabile della crisi dei rifugiati. Egli accusa quanti piangono i morti in mare e non pensano alla “decine di migliaia di bambini e anziani” uccisi dai terroristi nel Paese. I governi del continente, a suo avviso, continuano a “sostenere il terrorismo”, chiamandolo “fronte moderato” e contribuiscono in questo modo a peggiorare la situazione. In questi quattro anni di guerra Assad - rieletto con l’88% delle preferenze nelle votazioni dello scorso anno, tenute però solo nelle aree sotto il controllo governativo - ha perso quasi la metà dei suoi 300mila soldati. Tuttavia, grazie all’appoggio di Teheran e Mosca egli non intende cedere il potere nemmeno di fronte a una pressione internazionale, perché “deve essere il popolo siriano a decidere”. 

Ora l’attenzione si sposta alla 70ma sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite in programma a New York a fine mese. Un appuntamento al quale prenderanno parte i principali leader mondiali, fra cui papa Francesco che terrà un discorso ufficiale. La Russia, cui spetta la presidenza del Consiglio di Sicurezza dal primo settembre scorso, ha già lanciato i temi al centro del prossimo incontro: la lotta al terrorismo e superamento delle crisi in Medio Oriente e Africa settentrionale. Questi i temi che verranno discussi durante il ministeriale del 30 settembre, che sarà presieduto dal ministro degli Esteri della Federazione Russa Sergej Lavrov.

Il segretario generale Onu Ban Ki-moon ha convocato per fine settembre, a margine del Consiglio di sicurezza, una riunione sulla Siria a livello di ministri degli Esteri dei cinque Paesi membri permanenti (Stati Uniti, Francia, Russia, Cina e Regno Unito). A dispetto delle divisioni sulla questione siriana, egli - che non ha risparmiato critiche a Mosca per il sostegno militare a Damasco - ha chiesto ai governi di “far prova di solidarietà” perché “è tempo di agire”. Per il dramma siriano, conclude l’alto diplomatico, “non vi può essere una soluzione militare”.

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