10/09/2008, 00.00
COREA DEL SUD
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Le scuse del presidente Lee non placano i buddisti coreani

di Theresa Kim Hwa-young
I monaci leader insistono per la destituzione del capo della polizia e per una legge contro le discriminazioni religiose. Ma ora nella polemica intervengono anche gruppi protestanti conservatori. Il rischio che nasca un vero contrasto interconfessionale.

Seoul (AsiaNews) – Il “profondo rammarico” espresso ieri dal presidente sudcoreano Lee Myung-bak durante una riunione di Gabinetto, non ha quietato i gruppi buddisti. Nella polemica ora intervengono anche cristiani conservatori, con il rischio che si generi un contrasto interconfessionale, più che politico.

I buddisti sono infuriati per la perquisizione compiuta a luglio da parte della polizia sull’auto di un importante monaco, presso il cui tempio a Seoul hanno ricevuto asilo attivisti, per evitare l’arresto per avere organizzato dimostrazioni di piazza illegali. Per protesta, ad agosto i buddisti hanno tenuto una marcia a Seoul con 60mila persone (circa 200mila secondo gli organizzatori) tra cui almeno 7mila monaci, chiedendo scuse ufficiali e la destituzione del capo della polizia Eo Cheong-soo. Ieri in un commento televisivo Lee ha invece detto che il responsabile della polizia “dovrà visitare i leader buddisti, presentare le scuse e impegnarsi a impedire simili episodi”.

I buddisti parlano di discriminazione religiosa, osservando che Lee e 12 dei suoi 15 ministri sono cristiani. In risposta ieri il Gabinetto ha approvato un emendamento che impegna i funzionari pubblici ad evitare discriminazioni religiose e ad agire in modo “neutrale”.

Il Venerabile Wonhak (nella foto), direttore per gli Affari generali dell’Ordine Jogye del buddismo coreano, pur ritenendo “sincere” le scuse del presidente ha confermato che non rinunciano alla richiesta di dimissione di Eo, a una legge contro le discriminazioni religiose e all’immunità per i dimostranti contro l'importazine di carne Usa, che si sono rifugiati al tempio Jogye. Ha minacciato nuove proteste di piazza, che preoccupano molto il governo.

Il monaco Jinhwa, presidente di un gruppo contro le discriminazione religiose, ha osservato che “la Casa Blu [il palazzo presidenziale] sta solo causando maggiore discordia”. “Se continua a non accogliere le richieste dei buddisti, potrebbe esserci un maggiore conflitto religioso”.

Nella polemica sono intervenuti anche gruppi protestanti: l’8 settembre i conservatori della Grand Union of Patriotic Citizens (che comprende circa 200 gruppi) hanno detto che accettare le richieste dei buddisti “semplificherebbe la situazione per il presidente nell’immediato, ma la renderebbe più difficile nel lungo termine”. Il gruppo vuole recarsi al comando centrale della polizia per “incoraggiare” Eo a restare nell’ufficio.

Già il 5 settembre il Consiglio cristiano di Corea, principale organizzazione conservatrice delle Chiese protestanti, si è opposto a una legge contro le discriminazioni religiose, osservando che “è questione di senso comune e una proposta di legge potrebbe causare dispute religiose”.

Nel Paese, di antica tradizione buddista, il cristianesimo si è molto diffuso nello scorso secolo. Nel censimento del 2005 “solo” il 22,8% si sono dichiarati buddisti, rispetto a un 29,2% di cristiani, seppure il 48% non ha indicato alcuna fede.

 

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