Le scelte strategiche di Delhi contro i dazi di Trump
Il primo ministro indiano Narendra Modi ha indicato la via negoziale con Washington dopo l'imposizione di una tariffa del 26% sull'export indiano (esclusi i farmaci). A rischio il settore della gioielleria, mentre secondo alcuni il tessile potrebbe trarne vantaggio nel medio termine. Molti economisti concordano sul fatto che per trasformare la situazione in opportunità l’India avrà bisogno di riforme economiche e una deregolamentazione su ampia scala.
New Delhi (AsiaNews) – L’India è tra i Paesi asiatici che ha annunciato l’intenzione di negoziare con l’amministrazione statunitense guidata da Donald Trump per ottenere una riduzione dei dazi imposti da Washington la scorsa settimana. Le nuove tariffe, pari al 26% su tutte le esportazioni indiane verso gli Stati Uniti, risultano meno severe rispetto a quelle applicate ad altri partner della regione come il Vietnam (46%), la Cambogia (49%) o il Bangladesh (37%). Tuttavia, anche per Delhi il colpo all’economia rischia di essere significativo.
La risposta politica indiana, per ora, è stata misurata. Il ministero del Commercio ha annunciato l’intenzione di “valutare attentamente le implicazioni” delle nuove tariffe e ha rafforzato la propria divisione incaricata delle relazioni commerciali con l’area nordamericana, con l’obiettivo, annunciato ieri, di chiudere un accordo bilaterale che consenta di ottenere condizioni più favorevoli nel medio periodo.
Gli economisti hanno rivisto al ribasso le previsioni di crescita reale dell’India, stimandola al 6,1%, mentre i funzionari del governo puntano ancora a dati tra il 6,3 e il 6,8% per l’anno fiscale 2025–26. Il ministero delle Finanze ha già ricevuto da quattro a cinque proposte dal ministero del Commercio per sostenere le industrie esportatrici, tra cui un'estensione del programma di sovvenzioni sugli interessi, aiuti per la diversificazione e un aumento del credito bancario.
Nel 2019, quando Trump aveva revocato lo status di partner preferenziale all’India, Delhi aveva reagito con l’imposizione di nuove tariffe e i funzionari statunitensi avevano giudicato insufficienti le successive concessioni indiane. A febbraio il primo ministro Narendra Modi ha cambiato tattica, cercando di prevenire l’imposizione dei dazi con una serie di concessioni preventive, come la riduzione unilaterale dei dazi all'importazione su alcuni beni statunitensi e le promesse di maggiori acquisti nei settori dell’energia e della difesa. Eppure, anche queste mosse pare non siano bastate.
Gli Stati Uniti sono una delle principali destinazioni per le esportazioni indiane, che rappresentano circa il 18% del commercio in uscita dell’India. L’impatto dei dazi di Trump sull'India potrebbe essere di circa 34 miliardi di dollari o fino allo 0,9% del PIL, secondo una stima di Emkay Global.
Mentre il settore farmaceutico è stato esentato dalle nuova tariffe - il 40% di tutti i medicinali generici consumati negli Stati Uniti provengono dall’India -, secondo le previsioni sarà invece particolarmente colpito il settore delle gemme e della gioielleria, terzo per valore tra le esportazioni verso gli Stati Uniti. Si tratta di un comparto che genera milioni di posti di lavoro ed esporta annualmente circa 32 miliardi di dollari, di cui quasi un terzo (10 miliardi) negli USA. I nuovi dazi potrebbero causare un brusco calo della domanda, colpendo duramente soprattutto i piccoli esportatori, già alle prese con una domanda debole dalla Cina, una generale crescita dell’inflazione e la svalutazione della rupia (che, nonostante favorisca le esportazioni, per i piccoli produttori è un ostacolo).
L’India ospita inoltre il 15% della produzione globale di Apple e diversi economisti hanno affermato che l’imposizione dei dazi di Trump arriva in un momento “pessimo” per l’economia indiana, che stava registrando una certa ascesa. Secondo il Wall Street Journal, la Apple ha intenzione di inviare dall’India negli Stati Uniti un maggior numero di iPhone per compensare l’elevato costo dei dazi cinesi, un espediente nella speranza di ottenere un’esenzione dai dazi come avvenuto durante il primo mandato Trump.
Le visioni più ottimistiche sostengono che l’India potrebbe sfruttare la situazione a proprio vantaggio nel settore dell’abbigliamento, considerato che agli altri Paesi asiatici esportatori di prodotti tessili negli Stati Uniti sono state imposte tariffe superiori al 30%. Finora l’India era rimasta dietro al Bangladesh con le esportazioni di tessile: nel 2024 l’India ha inviato negli Stati Uniti prodotti di abbigliamento per circa 4,2 miliardi di dollari, contro i 7,34 miliardi di dollari del Bangladesh. L’attuale riallineamento dei costi potrebbe favorire una ripresa: i dati di gennaio 2025 mostrano un incremento dell’11,5% rispetto a gennaio 2024, quando le esportazioni erano già cresciute del 7,6% rispetto all’anno precedente. Tuttavia, una riallocazione produttiva da altri Paesi asiatici richiede tempi lunghi, investimenti e un’adeguata capacità industriale, tutti elementi che non fanno altro che aumentare l’incertezza sul futuro del settore.
La possibilità di trasformare una minaccia in opportunità potrebbe quindi dipende dalla capacità dell’India di affrontare le sfide strutturali che finora hanno frenato la competitività. L’India ha infatti mantenuto politiche economiche fortemente protezionistiche. Se l’India accettasse di ridurre immediatamente i dazi e le altre barriere non tariffarie sui prodotti statunitensi, ci potrebbero essere prospettive realistiche di riduzione di queste nuove imposte, secondo Mark Linscott, che ha negoziato precedenti accordi tra l’India e gli Stati Uniti.
Allo stesso tempo, l’India sta intensificando i colloqui con altri Paesi, come il Regno Unito, la Nuova Zelanda, il Cile, l’Oman e l’Unione europea. E se l’India aprirà un determinato settore agli Stati Uniti, è probabile che anche altre nazioni faranno pressioni. Gli esperti concordano che per muoversi in questa direzione, l’India avrà bisogno di riforme economiche e una deregolamentazione su ampia scala.
29/08/2020 10:33
08/06/2020 08:51