Le nuove leggi sulla libertà religiosa mettono a rischio la Chiesa cattolica kazaka
Don Edoardo Canetta, missionario in Kazakistan, avverte che le norme varate di recente dal governo pongono dei limiti sui visti per i religiosi stranieri. Più della metà dei sacerdoti e dei vescovi presenti nel Paese non ha nazionalità kazaka. Responsabilità della chiesa locale e del Vaticano nei rapporti con le autorità.
Astana (AsiaNews) – “Le nuove leggi sulla registrazione e il controllo delle comunità religiose mettono a rischio la Chiesa cattolica del Kazakistan. Si prevedono restrizioni sui visti dei leader religiosi stranieri. Circa il 50% dei sacerdoti e dei vescovi cattolici proviene da altri Paesi”. È quanto afferma ad AsiaNews, don Edoardo Canetta, missionario italiano e professore universitario da 11 anni in Kazakistan. Il sacerdote, rientrato in Italia per motivi familiari, sottolinea che “le nuove norme riguardano soprattutto i gruppi musulmani e protestanti considerati aggressivi, ma danneggiano di fatto tutte le comunità religiose non tradizionali”.
Varate lo scorso il 13 ottobre e volute dal presidente Nursultan Nazarbayev, le leggi mirano alla nazionalizzazione delle comunità religiose, seguendo il modello di controllo utilizzato dal governo cinese. Solo la Chiesa ortodossa russa e la comunità islamica kazaka, considerate parte della tradizione, sono escluse da queste restrizioni. Per sopravvivere a livello nazionale ed evitare sanzioni, le realtà non autoctone devono dimostrare di avere almeno 5mila membri.
Secondo don Canetta, le nuove norme sono molto simili a quelle già in vigore, che prevedevano un rigido controllo dello Stato sulle comunità religiose. Tuttavia, “la novità più grave per la Chiesa kazaka – fa notare - è la stretta sui visti degli stranieri e i requisiti per la registrazione dei gruppi confessionali, che frenano la nascita di nuove comunità, anche cattoliche”.
Per controllare l’espandersi del terrorismo islamico, in questi anni il presidente kazako ha proibito la presenza di imam stranieri sul territorio e ha vietato ai giovani aspiranti religiosi di studiare all’estero. La comunità islamica è quindi composta soprattutto da kazaki. Lo stesso criterio viene utilizzato con i cristiani luterani di origine tedesca, deportati nel Paese al tempo dell’Unione sovietica, e per gli ebrei.
Per la sua vocazione universale la Chiesa cattolica è quindi un fattore anomalo, anche se ha sempre avuto buoni rapporti con le autorità. La maggioranza dei preti e dei vescovi non sono kazaki. Solo mons. Thomas Peta, di origine polacca, ha cambiato nazionalità. I sacerdoti e i prelati locali - circa 20 - sono in gran parte religiosi e risiedono all’estero per ragioni legate alla missione. I pochi preti nati in Kazakistan non hanno mansioni di rilievo a livello pastorale. Essi sono poco considerati e tenuti ai margini dalla Conferenza episcopale, composta soprattutto da polacchi.
Don Canetta sottolinea che il paradosso di questa situazione è in parte frutto della malagestione dei rapporti fra Santa Sede e governo kazako. “Nel 2000, Vaticano e autorità hanno sottoscritto un concordato per garantire libertà di movimento ai sacerdoti, ma nessuno si preoccupato di trovare un’intesa sul piano legislativo. Pur offrendo molta libertà ai cattolici, a tutt’oggi il concordato non è altro che una mera dichiarazione di principio senza alcuna validità”.
Il sacerdote sottolinea che per superare queste difficoltà occorre spiegare alle autorità il significato di universalità della parola “cattolico”, ma ciò è ostacolato da alcuni vescovi, che preferiscono semplificare la portata della Chiesa invece di esprimere la sua vera natura. “Di recente – spiega don Canetta - nel Credo è stata sostituita la parola “vselenskaja”, che significa universale, con “katoliceskaja”, che è invece l’aggettivo con cui i si identificano i cattolici per differenziarli dagli ortodossi. Ciò impedisce all’opinione pubblica kazaka di comprendere l’aspetto di missione sovranazionale, che è la ragione che ha portato molti preti stranieri in Kazakistan. (S.C.)
Varate lo scorso il 13 ottobre e volute dal presidente Nursultan Nazarbayev, le leggi mirano alla nazionalizzazione delle comunità religiose, seguendo il modello di controllo utilizzato dal governo cinese. Solo la Chiesa ortodossa russa e la comunità islamica kazaka, considerate parte della tradizione, sono escluse da queste restrizioni. Per sopravvivere a livello nazionale ed evitare sanzioni, le realtà non autoctone devono dimostrare di avere almeno 5mila membri.
Secondo don Canetta, le nuove norme sono molto simili a quelle già in vigore, che prevedevano un rigido controllo dello Stato sulle comunità religiose. Tuttavia, “la novità più grave per la Chiesa kazaka – fa notare - è la stretta sui visti degli stranieri e i requisiti per la registrazione dei gruppi confessionali, che frenano la nascita di nuove comunità, anche cattoliche”.
Per controllare l’espandersi del terrorismo islamico, in questi anni il presidente kazako ha proibito la presenza di imam stranieri sul territorio e ha vietato ai giovani aspiranti religiosi di studiare all’estero. La comunità islamica è quindi composta soprattutto da kazaki. Lo stesso criterio viene utilizzato con i cristiani luterani di origine tedesca, deportati nel Paese al tempo dell’Unione sovietica, e per gli ebrei.
Per la sua vocazione universale la Chiesa cattolica è quindi un fattore anomalo, anche se ha sempre avuto buoni rapporti con le autorità. La maggioranza dei preti e dei vescovi non sono kazaki. Solo mons. Thomas Peta, di origine polacca, ha cambiato nazionalità. I sacerdoti e i prelati locali - circa 20 - sono in gran parte religiosi e risiedono all’estero per ragioni legate alla missione. I pochi preti nati in Kazakistan non hanno mansioni di rilievo a livello pastorale. Essi sono poco considerati e tenuti ai margini dalla Conferenza episcopale, composta soprattutto da polacchi.
Don Canetta sottolinea che il paradosso di questa situazione è in parte frutto della malagestione dei rapporti fra Santa Sede e governo kazako. “Nel 2000, Vaticano e autorità hanno sottoscritto un concordato per garantire libertà di movimento ai sacerdoti, ma nessuno si preoccupato di trovare un’intesa sul piano legislativo. Pur offrendo molta libertà ai cattolici, a tutt’oggi il concordato non è altro che una mera dichiarazione di principio senza alcuna validità”.
Il sacerdote sottolinea che per superare queste difficoltà occorre spiegare alle autorità il significato di universalità della parola “cattolico”, ma ciò è ostacolato da alcuni vescovi, che preferiscono semplificare la portata della Chiesa invece di esprimere la sua vera natura. “Di recente – spiega don Canetta - nel Credo è stata sostituita la parola “vselenskaja”, che significa universale, con “katoliceskaja”, che è invece l’aggettivo con cui i si identificano i cattolici per differenziarli dagli ortodossi. Ciò impedisce all’opinione pubblica kazaka di comprendere l’aspetto di missione sovranazionale, che è la ragione che ha portato molti preti stranieri in Kazakistan. (S.C.)
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I cattolici del Kazakistan: preghiamo per la pace
11/01/2022 08:48
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