25/10/2011, 00.00
MEDIO ORIENTE
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Le donne della primavera araba, necessarie per stabilire la democrazia

di Giulia Mazza
Bernard Sabella, professore cattolico di sociologia all’università di Betlemme, analizza il ruolo della donna nei Paesi mediorientali: figura in secondo piano, attivista politica, o terrorista. Gli Stati devono garantire sicurezza economica, sociale, culturale ed educativa, non solo militare. Sulla situazione palestinese, il docente afferma: “Gli uomini hanno bisogno delle donne per creare uno Stato indipendente”.
Roma (AsiaNews) – “La lezione più grande della primavera araba, per chiunque salirà al potere in questi Paesi, è che se non si rispettano i diritti umani di base, è impossibile garantire sicurezza al proprio popolo”. Lo afferma ad AsiaNews Bernard Sabella, professore cattolico di sociologia all’università di Betlemme, a Roma per il convegno “Le donne agenti di cambiamento nel sud del Mediterraneo”. L’ultimo premio Nobel per la pace, assegnato alla yemenita Tawakkul Karman (insieme a Ellen Johnson Sirleaf e Leymah Gbowee); le donne saudite al voto (tra quattro anni); le 27 palestinesi liberate in base all’accordo su Shalit: le urgenze del mondo arabo, emerse con la Rivoluzione dei gelsomini e in alcuni casi piegate al volere dei fondamentalismi, hanno per protagonisti anche le donne.

“Nei Paesi arabi – spiega Sabella – le donne hanno gli stessi problemi degli uomini, soprattutto in termini di mancanza di opportunità e di impiego. Anzi, per loro è peggio: quando sempre più donne musulmane vanno all’università, ma poi non hanno le stesse opportunità dei loro colleghi di parlare o trovare un lavoro aderente ai loro studi, diventa naturale che s’interroghino sulla natura del sistema sociale ed economico del Paese in cui vivono”.

“Che piaccia o no – prosegue il professore – per tradizione le donne arabe vivono in un sistema patriarcale, che tende a metterle in secondo piano e insegna che questa cultura e questa religione offrono loro la giusta protezione. Ma la questione, è che offrire protezione non risponde alle domande di oggi”.

In tal senso, le recenti mosse del governo saudita – che per la prima volta concede alle donne di votare e candidarsi alle prossime elezioni, ma senza poter apparire nei manifesti elettorali, e poi mantiene il divieto di guidare alle donne – non rappresentano una schizofrenia di chi è al potere, ma un problema radicato nella società. “Anche se il regime cerca di far evolvere la situazione femminile – spiega –, nella società ci sono forze tradizionaliste (uomini e donne) assolutamente contrarie. La situazione delle donne diventa una questione politica di prim’ordine: ma come si possono prospettare donne alla guida, al voto, che occupano posti di lavoro, senza provocare una reazione interna, che può sfociare nell’estremismo e nel fondamentalismo?”.

Il professore sottolinea che lo Stato deve occuparsi di mercato di lavoro, di educazione, di salute e di uguali opportunità: “La sicurezza non è solo di tipo militare. Quando non ti senti sicuro da un punto di vista economico, culturale, sociale, educativo; quando non hai una casa e un’istruzione adeguata; quando non sai nemmeno leggere e scrivere, allora quel governo – a prescindere da quante armi comprerà per proteggerti – resterà instabile”.

Infine, Sabella parla della situazione palestinese, che per tradizione vede le donne impegnate nella lotta politica. Ai tempi del mandato britannico (1920-1948), era l’elite a scendere in piazza; oggi, l’attivismo femminile è diviso tra religione e secolarismo, fino a sfociare nel terrorismo: tra gli oltre mille prigionieri liberati dalle carceri israeliane in base all’accordo su Shalit (il giovane soldato israeliano prigioniero di Hamas dal 2006, ndr), 27 erano donne.

Il docente conta i numeri: “Nelle università ci sono circa 96mila donne, contro 79mila uomini. Questo significa che c’è una generazione che decide da sola cosa fare: alcune donne vogliono fare attivismo politico, altre lavorare nel settore legale, o magari in un’ong internazionale”.

Comunque, per Sabella la sfida più grande resta quella politica: “Vogliamo porre fine all’occupazione israeliana e vogliamo un nostro Stato. Gli uomini non possono fare da soli la Palestina: hanno bisogno delle donne per affrontare questa sfida”.
 
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