L'arroganza di Pyongyang getta un'ombra su due meeting per la pace
L'inviato nordcoreano suscita l'indignazione generale parlando di una minaccia di guerra legata alla vittoria del Grande Partito Nazionale. Alla conferenza dei Nobel per la pace, invece, Gorbachev parla della divisione della Corea "frutto della guerra fredda" e invita a risolvere i conflitti "in termini nazionali".
Seoul (AsiaNews) La Corea del Nord ha gettato un'ombra su due avvenimenti che, nell'intenzione degli organizzatori, avrebbero potuto favorire il processo di riconciliazione nella penisola coreana. Si è trattato del festival intercoreano programmato per commemorare il sesto anniversario dell'incontro al vertice tra Kim Dae-jung (allora presidente della Corea del sud) e Kim Jong-il, il leader del Nord (15 giugno 2000) e della conferenza annuale dei premi Nobel per la Pace. Svoltisi dal 14 al 17 giugno a Kwangju, una città a circa 300 chilometri a sud-ovest di Seoul, i due meeting, pur essendosi realizzati contemporaneamente, non vanno considerati parti di un'unica celebrazione. Il primo è fallito a causa dell'arroganza di Pyongyang, il secondo ha posto importanti premesse per la pace nella penisola coreana, grazie all'esperienza e saggezza politiche dei due coopresidenti: Kim Dae-jung, e Mikhail Gorbachev, ex-presidente della smantellata Unione Sovietica.
Dal 18 maggio 1980 Kwangju è considerata il luogo sacro del movimento democratico nella Corea del sud. "Quel giorno - ha ricordato Kim nel discorso di apertura della conferenza dei premi Nobel - speciali gruppi d' assalto hanno sparato brutalmente sui cittadini che partecipavano a una dimostrazione pacifica contro la dittatura militare, uccidendo molte persone": 250 gli studenti e attivisti massacrati, secondo i dati ufficiali, 2mila secondo le dichiarazioni dei familiari delle vittime: i militari ne avrebbero bruciato i cadaveri e gettate le ceneri in mare.
La crisi cinese della piazza Tiananmen (1989) è spesso indicata dai media coreani come la versione cinese dell'insurrezione di Kwangju.
Tra le 30mila persone, che hanno gremito lo stadio della città, per la cerimonia di apertura del festival, i nord-coreani erano considerati gli ospiti più importanti. Purtroppo essi si sono comportati da padroni, trasformando il festival in una sagra di propaganda e di maldicenza.
Partendo da Pyongyang, il capo della delegazione nord-coreana, Ahn Kyong-ho, ha detto che "se il Grande Partito Nazionale (GNP) prende il potere (nel Sud), la Corea sarà avvolta dalle fiamme di una guerra scatenata dagli Stati Uniti". La frase arrogante ha suscitato in tutti i settori della Corea del sud un'ondata di indignazione. "Osservazione assurda", scrive l'editorialista del The Korea Times. "Nessun sud-coreano, progressista o conservatore, permetterebbe una guerra sotto qualsiasi pretesto. È regola elementare di educazione cercare di essere cordiali ed evitare espressioni offensive quando si visita qualcuno. Ma dalle dichiarazioni di Ahn ci chiediamo se egli conosce i principi elementari delle relazioni umane". Il portavoce del partito vilipeso non si è trattenuto dal rimbrottare il governo del presidente Roh Moo-hyun: "Dobbiamo mettere in questione l'identità di questa amministrazione che permette ad Ahn di andare in giro per le strade della Corea del sud. Dovremmo arrestarlo e deportarlo"
Ahn ha cercato di rimediare dicendo al capo della delegazione sud-coreana che la sua osservazione non intendeva essere incendiaria. Tentativo vano. Nello stesso giorno a Pyongyang lo speaker dell'emittente di Stato ribadiva la dichiarazione: "Noi abbiamo semplicemente detto la verità come necessaria medicina per il Grande Partito Nazionale. Lo avvertiamo che se non corregge le sue cattive abitudini, non avrà futuro". Propaganda patetica ad uso interno. Solo due settimane fa il GNP ha stravinto in quasi tutte le province!
Queste dichiarazioni e il contenuto di parecchi discorsi hanno trasformato il festival in una sagra di propaganda antiamericana e in un arena di scontro inter-coreano.
È stato solo grazie alla conferenza dei Nobel per la pace che la "tre giorni" di Kwangju ha avuto esito positivo e, si spera, duraturo. Queste conferenze di studio si tengono a Roma ogni anno dal 1999. Questa volta si è tenuta a Kwangju, patrocinata dalla municipalità e dall'università Yonsei di Seoul. Quattordici i Nobel presenti. Significative due assenze: quella dell'ex-presidente americano Jimmy Carter (Nobel 2002) e quella del Dalai Lama (Nobel 1993); l'alto grado di tensione tra Washington e Pyongyang spiega l'assenza del primo, il rifiuto del visto da parte di Seoul quella del secondo; ombra della Cina.
I discorsi introduttivi dei due copresidenti hanno delineato la genesi storico-politica dell'incresciosa situazione attuale. ."La divisione della penisola, ha detto Gorbachev, è stato il prodotto dello scontro tra le ex-superpotenze e della guerra fredda. La Corea non deve essere tenuta ostaggio degli interessi delle super-potenze". Velata allusione anche alla Cina. "Ci vorrà del tempo per risolvere i problemi della penisola", ha continuato Gorbachev. "I conflitti del nord e del sud devono essere appianati in termini nazionali"
La "dichiarazione di Kwangju", documento conclusivo della conferenza è stato inviata ai capi di governo impegnati nei "colloqui a sei", alle Nazioni Unite e all'agenzia internazionale per l'energia atomica (IAEA).