Laici maturi nella fede, urgenza della Chiesa cinese
L'uso di internet, come una moderna "via della Seta" per mettere in comunicazione il continente Cina col mondo e aiutare la Chiesa a maturare nella sua missione. Il governo, intanto promuove l'ateismo.
L'undici ottobre scorso prendeva avvio a Pechino il primo Programma organico di teologia cattolica di base, aperto a laici e anche a non cattolici, organizzato dall'Istituto per lo studio di cristianità e cultura della diocesi. Il primo gruppo di partecipanti comprende 28 studenti, di cui metà cattolici e due protestanti, mentre il resto proviene dalle Università della capitale, comprese l'Università di Pechino, la Qing Hua e l'Università di Lingue estere. Il corso impegna nei pomeriggi del sabato per 28 settimane, con un totale di 112 ore di lezione, che coprono teologia dogmatica e morale, Sacra scrittura, dottrina sociale della Chiesa, pensiero del Concilio Vaticano II, liturgia. L'ammissione richiede che i partecipanti, se non hanno già un grado accademico, siano iscritti al secondo anno di università e abbiano sufficiente conoscenza di una lingua straniera. Ad attrarre gli studenti, mi spiegava l'organizzatore padre Peter Zhao Jianmin, contribuisce probabilmente la prospettiva di conseguire, frequentando con assiduità e sottoponendo delle brevi ricerche per ognuna delle materie, un diploma dell'Istituto che permette di fare poi anche uno stage all'estero per approfondire un specifico aspetto di scienze religiose. Oltre al padre Zhao, che ha conseguito la laurea in diritto canonico lo scorso anno presso l'Università cattolica di Lovanio, tra i docenti del programma c'è un altro sacerdote munito di dottorato, Chen Shujie, mentre altri tre sacerdoti e una laica hanno ottenuto una licenza all'estero. Un altro sacerdote cinese, padre Giovanni Yang Xiaotin della diocesi di Zhouzhi nello Shaanxi, interrogato recentemente sui bisogni prioritari della Chiesa cinese, sottolineava l'urgenza di offrire anche ai laici una più profonda formazione nella fede, che permetta loro di inserirsi attivamente nella crescita della comunità. Padre Yang, che si laureò in teologia all'Università Urbaniana di Roma nel 1999, conseguì poi un master in studi sociali negli Usa e da oltre un anno insegna sociologia della religione nel seminario regionale di Xian.
Naturalmente, al di là delle qualificazioni accademiche, è anzitutto il "contagio" personale di chi ha incontrato Gesù nella propria vita, ad assicurare l'efficacia del messaggio evangelico. Lo dimostra una significativa esperienza verificatasi in una zona rurale attorno a Wuan (provincia Hebei), dove il numero dei cattolici è passato da cinque mila a 30 mila in pochi anni, per l'entusiasmo che spinge gli stessi neofiti a testimoniare e diffondere la fede. Lo straordinario sviluppo è cominciato dopo l'arrivo a Wuan del sacerdote Zheng Ruiping, sette anni fa.
Una giovane ricercatrice cattolica, Teresa Xiao Enhui, che ha lasciato un lavoro ben retribuito (si era laureata in una facoltà tecnica in Cina) per venire ad approfondire gli studi di teologia a Roma, è convinta che "mai come oggi tanti giovani e intellettuali si interessano al cristianesimo. ( ) Una "sana cooperazione" fra Chiesa e Cina diventa sempre più possibile. L'ostacolo maggiore all'evangelizzazione della Cina è oggi la mancanza di pionieri e di entusiasmo. La porta è già aperta. Occorrono apostoli ben preparati e convinti". Della signorina Xiao è apparso recentemente una documentata rassegna sui numerosi Centri di ricerca aperti in numerose università cinesi per studiare i più diversi aspetti del Cristianesimo e della storia della Chiesa in Cina (Teresa Xiao Enhui, "Chi studia il cristianesimo in Cina?", in Studi Cattolici, Milano, n. 511, sett. 2003, p. 652-56). Teresa Xiao evidenzia le attuali carenze notando che a tutt'oggi esistono soltanto tre istituzioni ecclesiastiche attivamente impegnate in campo culturale: il Centro di Shanghai Guangqi (dal nome del grande convertito del 17° secolo amico di padre Matteo Ricci); il Centro editoriale Shin (Fede) di Shijiazhuang (provincia Hebei) diretto da padre Giovanni B. Zhang Shijiang, che pubblica un quindicinale diffuso ormai in tutte le diocesi di Cina e che dal 2000 ha potuto avviare anche un'iniziativa di ricerca a livello accademico in collaborazione con studiosi di varie università, e l'Istituto di Cultura cattolica Shangzhi (Sapienza) di Pechino, fondato nel 2002 e diretto dal padre Peter Zhao sopra ricordato.
Purtroppo, certi vecchi pregiudizi contro l'attivo coinvolgimento del laicato nell'impegno per l'evangelizzazione sono duri a morire. Ne ha fatto amara esperienza una donna cattolica di Shenyang, nel Nord-est della Cina, quando, guarita da una grave malattia, decise quindici anni fa di dedicare la propria vita al Vangelo e sentì il bisogno di approfondire la propria conoscenza teologica. Chiese invano di poter seguire dei corsi di teologia predisposti per la preparazione dei sacerdoti; con difficoltà poté seguire un corso biblico per corrispondenza organizzato da un seminario protestante, e solo in seguito le fu concesso di continuare gli studi in un seminario cattolico. Da qualche anno, Gao Caixia, che ha oggi 47 anni, è accettata e apprezzata anche al di fuori della sua diocesi per il suo zelo e competenza. La scorsa estate ha contribuito ad organizzare un programma di aggiornamento di sette settimane per i sacerdoti della provincia del Hebei.
Ma tra le ragioni obiettive del grave ritardo che si riscontra sul piano culturale anche tra i cattolici non si può sottovalutare la politica perseguita dalla Repubblica popolare cinese nei confronti delle religioni. Ancora oggi, la legislazione cinese, che pure riconosce (all'art. 36 della Costituzione) la "libertà di credenza religiosa", si preoccupa che le religioni non possano "interferire" in campo educativo e sociale. Questa politica ha assicurato per oltre mezzo secolo un monopolio incontrastato all'ideologia del Partito unico nei programmi educativi in tutte le scuole cinesi a tutti i livelli. La recente nascita dei primi centri culturali cattolici sembra indicare che i dirigenti cominciano finalmente a rendersi conto che il clima sta cambiando anche in Cina, ma la legislazione rimane la stessa ed è sempre possibile qualche "colpo di coda" provocato dai nostalgici del "maoismo" vecchio stile, che sono ancora forti nel Comitato centrale del Partito eletto un anno fa. Ne è prova il documento emanato il 17 ottobre scorso dall'Amministrazione Statale di Radio, Film e Televisione, che impone a tutti i produttori di programmi nazionali di promuovere l'ateismo e di denunciare "credenze devianti". Questa direttiva del governo si concretizza in dieci punti che impongono ai grandi mezzi di comunicazione di promuovere l'ateismo e la scienza in tutti i loro programmi, notiziari giornalieri, eventi artistici, dibattiti, drammi televisivi e film. Il documento ricorda inoltre che gli esponenti del Partito hanno l'obbligo di "credere nel marxismo ortodosso", senza cedere alla "superstizione". Qualche studioso cinese interpellato ha affermato che il nuovo ordine non cambierà la condizione delle cinque religioni riconosciute in Cina (taoismo, buddhismo, islam, cattolicesimo e protestantesimo), ma intanto si fa notare che il documento è forse stato provocato dall'interesse suscitato fra la gente da alcuni riti buddhisti teletrasmessi durante la crisi per la Sars. Il documento assai elaborato sottolinea che i responsabili dei mass media devono saper presentare in modo attraente e legato alla vita di ogni giorno l'ateismo (che è sempre proposto come "la scienza" che spiega la realtà dell'universo), incoraggiando lo studio del marxismo-leninismo, maoismo e delle teorie politiche di Deng Xiaoping come dell'ex presidente Jiang Zemin. I media devono così applicare la politica del Partito comunista cinese in materia di libertà religiosa, che afferma la libertà ai credenti e ai non credenti ma sottolinea che "le religioni possono organizzare proprie attività soltanto in luoghi a ciò autorizzati e che la promozione delle rispettive credenze non deve contraddire il socialismo".
Purtroppo questi giri di vite sono frequenti, come lo dimostrano i tre nuovi documenti sulla gestione della Chiesa (cfr AsiaNews, giugno 2003, pp. 13-26), o le arroganti interferenze del potere politico nella scelta e nella consacrazione di nuovi vescovi cattolici (cfr AsiaNews, novembre 2003, pp. 15-17). Ma parlando con alcuni esponenti delle nostre comunità in Cina mi ha sempre meravigliato il fatto che, radicati sul mistero della croce, non drammatizzano la situazione, convinti che la Chiesa nonostante tutto riesce non solo a sopravvivere, ma anche a crescere, come ricordavo recentemente (cfr AsiaNews, ottobre 2003, p. 22).
I problemi della formazione, che rimangono prioritari, sono assai complessi coprendo molteplici settori, dalla pastorale giovanile al confronto fede-scienza, a quello fede-modernità; bisogna inoltre ancora confrontarsi con la scarsità di strumenti necessari per qualificare gli operatori pastorali ai vari livelli. Il Colloquio "Europei cattolici e Cina" svoltosi all'inizio di settembre a Lovanio in Belgio ha concentrato l'attenzione sulla "collaborazione con le Chiese cinesi verso la formazione di ministeri ecclesiali nell'epoca della globalizzazione" (cfr AsiaNews, ottobre 2003, p. 23). La voce di molti giovani cinesi (sacerdoti, religiose e laici) che studiano attualmente in Europa ne ha messo in luce vari aspetti, mostrando al tempo stesso la preziosità del contributo che può offrire la solidarietà e la collaborazione delle Chiese sorelle, sostenendo i seminari e le altre strutture formative all'interno della Cina e offrendo borse di studio per specializzazioni che per ora non sono possibili all'interno del Paese.
L'uso di Internet è definito da qualcuno la moderna "via della seta" capace di aprire l'immensa Cina non solo alle opportunità dell'economia mondiale, ma anche ai valori della cristianità. Con oltre 68 milioni di utenti, la Repubblica popolare è in questo campo il secondo Paese in assoluto dopo gli Stati Uniti. Da parte loro, le autorità della Nuova Cina sono decise a tenere sotto controllo questo potente strumento di globalizzazione dell'informazione, impiegando enormi risorse per imporre filtri sofisticati, che impediscano la diffusione di tematiche "politicamente pericolose". Per quel che riguarda le religioni, non risulta che siano state imposte specifiche limitazioni. E già numerosi programmi creati da individui e strutture cristiane sia in Cina che presso le comunità della "diaspora" offrono notizie, documentazione e occasioni di formazione alla dottrina e alla vita cristiana.
Le citazioni di AsiaNews si riferiscono alla edizione su carta.