13/06/2017, 08.50
PAKISTAN
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Lahore, prima condanna a morte per ‘blasfemia su Facebook’

Il condannato è un Taimoor Raza, 30 anni. Si era lasciato andare ad una discussione sull’islam. L’uomo appartiene alla comunità sciita. La condanna conferma il tentativo di mettere il bavaglio al dissenso.

Lahore (AsiaNews) – Un tribunale dell’antiterrorismo in Pakistan ha emesso la prima sentenza di morte per blasfemia su Facebook. I giudici di Bahawalpur (Punjab) hanno condannato Taimoor Raza, un uomo di 30 anni, alla pena capitale per aver insultato il profeta Maometto. Ora egli può fare appello all’Alta corte di Lahore ed in seguito alla Corte suprema. Si tratta della prima sentenza di questo tipo, che conferma il giro di vite attuato dal governo di Islamabad nei confronti del dissenso espresso sui social media.

Raza è stato arrestato lo scorso anno dopo aver discusso sul social network a proposito di islam. Waseem Abbas, fratello del condannato, ha riferito che quest’ultimo “aveva effettuato una discussione settaria con una persona, che solo in seguito ha rivelato di essere un funzionario del dipartimento di contrasto al terrorismo, di nome Muhammad Usman”. Abbas ha aggiunto che la sua famiglia è “povera ma istruita” e appartiene alla minoranza islamica sciita.

Il condannato è uno dei 15 arrestati lo scorso anno in Pakistan con l’accusa di aver pronunciato offese al profeta sui mezzi di comunicazione. Finora nessuno era mai stato formalmente condannato per quella che nel Paese viene considerata la “legge nera”. Anzi, esperti ritengono la decisione del tutto “eccezionale”, se si considera che nelle carceri pakistane languono da anni persone in attesa di giudizio, come Asia Bibi, la madre cristiana accusata di blasfemia.

La questione è un argomento spinoso, e solo l’ipotesi di oltraggio all’islam può provocare reazioni violente. È il caso di Mashal Khan, lo studente di Giornalismo linciato a morte dai colleghi della Mardan University lo scorso aprile, dopo che si erano diffuse voci di suoi commenti blasfemi. Di recente un rapporto ufficiale ordinato dalla Corte suprema ha stabilito che le accuse contro il giovane erano del tutto infondate.

Difensori dei diritti umani lamentano che le accuse di blasfemia vengono utilizzate come giustificazione per attuare vendette personali. Per questo da più parti sono piovute critiche contro il governo, quando a marzo il premier Nawaz Sharif ha chiesto a Facebook e ad altri social media un “aiuto” per arginare i commenti blasfemi. La richiesta è stata interpretata come un altro tentativo di mettere il bavaglio al dissenso, come nel caso dei cinque intellettuali e blogger rapiti dalle agenzie di intelligence all’inizio del 2017 perché avevano osato criticare gli elementi radicali del governo. Essi sono stati prima sequestrati, poi accusati di blasfemia e poi fatti ricomparire. Come sottolineato da uno di loro che ha osato rompere il silenzio, il risultato di queste manovre politiche è stata l’auto-censura dei pensatori laici.

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