La “doppia faccia” del Vaticano secondo Pechino
Roma (AsiaNews) – “Il Vaticano si presenta a noi con una doppia faccia”: mentre cerca rapporti diplomatici con Pechino, vuole in realtà tornare al “controllo del potere e della gestione della Chiesa cattolica in Cina”.
E ancora: “Il Vaticano odia il socialismo”, ma per esso, aprire le porte della Cina “è fra le missioni più importanti nella ‘strategia del nuovo millennio’ per la Chiesa cattolica”, un modo per acquisire potere politico e ritornare ad essere “Centro del mondo”. Ormai “Cuba è amministrata da loro [dal Vaticano]. Il Vietnam è amministrato da loro. Tra i Paesi socialisti, è rimasta solo la Cina a non considerarli”.
Sono alcune delle pesanti affermazioni di Ye Xiaowen, direttore dell’Amministrazione statale per gli affari religiosi, un ministro del governo cinese.
Esse fanno parte di una lunga intervista concessa da Ye al settimanale Nan Fang il 13 marzo scorso. Le pesanti accuse al Vaticano e a Benedetto XVI sono ancora più significative se si pensa che tale intervista è stata pubblicata mentre nella Città del Vaticano una delegazione cinese incontrava membri della Segreteria di stato per studiare – secondo indiscrezioni di parte vaticana – i possibili passi per riallacciare le relazioni diplomatiche interrotte da Pechino nel 1951, con l’espulsione del nunzio di allora.
La domanda che molti si fanno è questa: come mai, mentre una delegazione va in Vaticano a parlare di futuri rapporti diplomatici, in Patria un membro dello stesso governo continua a riaffermare posizioni trite e di chiusura? Alcuni osservatori pensano che nella leadership cinese vi sia una spaccatura, fra chi vuole maggiori aperture e libertà e chi rimane legato a schemi maoisti e stalinisti. Altri pensano che, secondo la tradizione cinese, Pechino stia solo facendo il doppio gioco. In questo caso, gli ammiccamenti della delegazione cinese e il desiderio di Pechino di intessere rapporti diplomatici sarebbero solo un modo di “tenere tranquillo” il Vaticano mentre la Cina viene messa sotto i riflettori delle Olimpiadi. Un esperto cinese ha perfino detto a AsiaNews: “State tranquilli, dopo le Olimpiadi, tutto ritornerà come prima”.
Nella sua lunga intervista Ye parla di “un conflitto fra Cina e Vaticano” che dura da più di mezzo secolo. Secondo lui la Lettera di Benedetto XVI ai cattolici cinesi è da apprezzare perché limita le facoltà dei vescovi sotterranei, ma per il resto “è un passo indietro” perché costringe “i cattolici cinesi a restare uniti al papa in modo totale, costringendoli ancora una volta a scegliere fra il partito e la Chiesa”. E citando un esperto cinese di questioni religiose [Liu Bainian, vice-presidente dell’Associazione patriottica? - ndr], afferma che “la pubblicazione della Lettera pastorale dimostra che il papa prosegue sulla strada di opporsi a Pechino”.
La “pericolosità” della Lettera di Benedetto XVI sta nel fatto che essa “nega pubblicamente [il valore de] l’Associazione Patriottica; nega la Conferenza Episcopale[il Consiglio dei vescovi cinesi, ritenuto incompleto dalla Santa Sede, perché mancano i vescovi non ufficiali e l’approvazione di Roma]; nega il principio dell’indipendenza, autonomia ed auto-gestione [della Chiesa]”, soprattutto nelle nomine dei vescovi.
Nella sua Lettera pubblicata il giugno scorso, Benedetto XVI ha domandato alle autorità cinesi la libertà religiosa in particolare nelle nomine dei vescovi, perché esso “tocca il cuore stesso della Chiesa”, spiegando che tale responsabilità non è quella di “un’autorità politica che si intromette indebitamente negli affari interni di uno Stato e ne lede la sovranità”.
Per Ye Xiaowen “continuare a mantenere il principio dell’indipendenza, autonomia ed auto-gestione è l’interesse supremo della nazione cinese”.
L’intervista si diffonde anche su altri temi “politici”, fra cui il problema di Taiwan. “Il Vaticano – afferma Ye - riconosce il potere illegittimo di Taiwan e non riconosce la Repubblica Popolare Cinese come unico legittimo governo”. Da qui egli conclude che chiunque ha “contatto con il Vaticano in segreto… manca del senso patriottico che un cittadino cinese deve avere”.
Un altro tema caldo è la canonizzazione dei martiri cinesi nel 2000, in cui il Vaticano “a dispetto delle nostre obiezioni, ha fatto una ‘canonizzazione’ nel giorno della nostra festa nazionale proclamando tutti quei missionari giustiziati dai contadini come santi. Tra questi ‘santi’, alcuni sono libertini senza vergogna, alcuni si sono macchiati di crimini orrendi”.
Sull’opera dei missionari nel ‘900 vi sono vari storici cinesi che hanno approfondito l’argomento, mostrando il valore della presenza dei missionari e correggendo le accuse del tempo maoista, che Ye fa proprie. Purtroppo il governo ha messo un veto sulla pubblicazione di questi studi. (BC)