La visita di Abe a Pechino ha aperto concrete prospettive di collaborazione
Tokyo (AsiaNews) È stata un successo, che apre concrete prospettive di collaborazione politica, oltre che economica, la visita del nuovo premier giapponese in Cina. Appare infatti positivo il bilancio che si fa all'indomani del viaggio che ha visto l''8 ottobre a Pechino, dopo cinque anni di interruzione, il vertice tra il nuovo primo ministro giapponese, Shinzo Abe, e il presidente cinese Hu Jintao. L'esperimento nucleare della Corea del nord, realizzato il giorno dopo, non è riuscito a mettere in ombra il significato dell'avvenimento, che, a detta dei media e degli stessi protagonisti, costituisce una svolta positiva nei rapporti tra le due nazioni.
La visita appare riuscita meglio di quanto si potesse sperare. La bandiera del Sol levante, ostentatamente bruciata nelle piazze solo un anno fa, sventolava assieme a quella cinese sugli edifici principali della capitale.
L'ospite, accolto con onore dal premier cinese Wen Jiabao nella immensa piazza di fronte alla grande Sala del popolo, ha poi avuto incontri con tutti e tre vertici cinesi: Wu Bangguo, presidente del Comitato del popolo, lo stesso Wen e soprattuto il presidente Hu Jintao. Era il giorno di apertura della sessione plenaria del Comitato centrale del Partito comunista. "È del tutto insolito - scrive l'editorialista del Mainichi - che in un giorno come quello tutti e tre i leader incontrino separatamente un ospite".
"Il saggio afferra il vantaggio dell'opportunità" recita un proverbio cinese. Nel successo dell'incontro al vertice il ruolo giocato dalla Cina è fuori dubbio, ma i meriti del nuovo premier giapponese sembrano preponderanti. Innanzitutto perchè ha preparato l'incontro accuratamente da mesi. "Il successo della vostra visita - ha detto Hu Jintao, nella dichiarazione finale - è il risultato di vicendevoli sforzi diplomatici e del fermo riconoscimento della realtà storica". Le ostinate visite di Koizumi al santuario Yasukuni avevano bloccato il dialogo. Abe, allora capo del gabinetto, attraverso un lavorio diplomatico ha offerto ai cinesi la sua disponibilità per sbloccare la situazione, qualora fosse diventato primo ministro. Pechino ha "afferrato l'opportunità".
Diventato premier (26 settembre) Abe ha subito programmato incontri al vertice con la Cina e con la Corea del sud. "Un fatto insolito - ha osservato Keizo Nabeshima, analista politico del The Japan Times - perchè la maggior parte dei premier giapponesi ha scelto Washington come primo vertice". Abe, perfettamente consapevole che le pessime relazioni con Pechino e Seoul erano diventate la principale pietra d'inciampo nella diplomazia giapponese, ha avuto il coraggio toglierla di mezzo senza indugi. Hu Jintao glielo ha riconosciuto: "La vostra visita in Cina come prima destinazione all'estero, fatta subito dopo aver assunta la carica, è un segno che voi date importanza al miglioramento e allo sviluppo delle relazioni tra Cina e Giappone".
Ma il merito decisivo da parte di Abe è quello di aver accettato senza ambiguità la cosiddetta "dichiarazione Murayama" (1995). Con essa il governo riconosce le sofferenze che l'esercito imperiale nipponico ha inflitto alle nazioni asiatiche con una guerra di aggressione. Prima di diventare premier, Abe al riguardo si schermiva dicendo: "Noi dobbiamo essere umili quando parliamo della nostra visione della storia". Interpellato in Parlamento, pochi giorni prima del viaggio in Cina, ha, invece, detto: "Non ho alcun piano di riscrivere la dichiarazione del 1995. Quella dichiarazione è stata approvata dall'esecutivo di allora e rimane valida anche per il mio governo".
Abe è stato saggio non solo per aver afferrato l'opportunità, ma per averla resa produttiva distinguendo le opinioni personali dalla responsabilità di governo. "Come risultato dei nostri sforzi diplomatici - ha detto Wen - abbiamo superato gli ostacoli politici che influenzano le relazioni bilaterali e siamo d'accordo di svilupparli interiormente in modo concreto e costante".
Il nuovo premier giapponese, però, con il presidente cinese ha agito da pari a pari, chiedendo reciprocità: cioè il riconoscimento pubblico del Giappone pacifico del dopo guerra e la promessa di diffondere questa immagine tra il popolo cinese. Con atteggiamento conciliatorio Hu ha accettato la visione storica "di un Giappone che per 60 anni ha camminato lungo il sentiero della pace", pur aggiungendo che "spera in ulteriore miglioramento".
Tra i sostanziosi risultati ottenuti, il primo è l'affermazione del principio che, nelle rapporti reciproci, economia e politica, sono "due ruote di un medesimo carro". Secondo, l'impegno di costruire una mutua relazione "basata su comuni interessi strategici" e non su semplice amicizia e collaborazione, come si legge nella dichiarazione congiunta del summit del 1998. Usando l'aggettivo "strategico" le due parti si riferiscono all'impegno di promuovere la cooperazione a livello mondiale nei settori dell'economia, dell'energia, della protezione dell'ambiente e, last but not least, nel bloccare la diffusione degli armamenti nucleari.
Con questa visita, infine, Abe ha aperto la via del dialogo politico tra le due nazioni attraverso reciproche visite ad alto livello. Sono infatti già stati programmati due altri incontri al vertice a breve scadenza: uno avverrà il prossimo novembre tra Abe e Hu Jintao in Vietnam (Hanoi) durante il summit del gruppo APEC (Asia Pacific Economic Cooperation), e l'altro, tra Abe e Wen Jiaobao, si terrà nelle Filippine (Cebu) durante il meeting dei leader del gruppo ASEAN +3 (Cina, Giappone e Corea del sud).