22/03/2025, 08.43
MONDO RUSSO
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La trappola sovietica di Putin

di Stefano Caprio

Oggi Mosca prende tempo aspettando la proclamazione della Vittoria per il 9 maggio. Ma la sintonia con Trump le consegna già comunque ciò che attendeva da più di trent’anni: il ritorno della Russia al tavolo delle superpotenze, come attore di primo piano nell’arena politica mondiale.

Le trattative tra Donald Trump e Vladimir Putin si trascinano piuttosto stancamente, senza di fatto lasciar intravedere una fine del conflitto in Ucraina, con le promesse di non toccare le infrastrutture energetiche ucraine, mentre lo stesso giorno una pioggia di droni-kamikaze e avio-bombe si sparge sull’intero Paese invaso, occupato e devastato da più di tre anni. Il Cremlino accompagna queste false promesse con assicurazioni a dir poco tragicomiche, raccontando che non appena Putin ha dato l’ordine di non colpire le centrali ucraine, gli aerei russi sono stati costretti ad abbattere i loro stessi droni che stavano andando proprio verso quegli obiettivi, che poi Trump ha proposto di affidare agli americani. In compenso, pare che i due imperatori siano riusciti ad accordarsi sulle partite di hockey tra le rispettive nazionali, una notizia che ha suscitato grande entusiasmo nell’opinione pubblica russa, che considera gli americani come i propri sparring partner per ottenere vittorie veramente soddisfacenti.

È del resto evidente che Putin mira alla proclamazione solenne della Vittoria nella parata del 9 maggio, e prima di allora qualunque trattativa sarà soltanto una messinscena, nella narrazione trumpiana degli “spettacoli televisivi ben riusciti” e delle conversazioni “cordiali e molto promettenti”. La prossima puntata del serial russo-americano sarà a Gedda il 23 marzo, per cominciare a mettere per iscritto il piano di pace (verranno anche gli ucraini, ma senza incontrare i russi), o forse soltanto la trama dei sequel successivi, per mantenere alto l’interesse del pubblico. Da parte russa si applica invece la tattica classica della “trappola sovietica”, come ha osservato l’ex-ufficiale della Cia Matthew Schumacher, quando ai tempi della guerra fredda l’Urss rallentava qualunque processo di dialogo e trattativa per cercare intanto di riorganizzarsi, e trovare nuove leve di influenza sugli avversari. Oggi Putin ha bisogno di tempo non solo per rispettare la scaletta delle puntate fino a maggio, ma anche per mettersi al sicuro dal punto di vista politico e militare, e soprattutto da quello economico.

La sintonia tra i due grandi hockeisti di Oriente e Occidente, come confermano tutti gli osservatori, consegna al Cremlino la prima e fondamentale vittoria agognata da più di trent’anni, vale a dire il ritorno della Russia al tavolo delle superpotenze, come attore di primo piano nell’arena politica mondiale. La questione dell’Ucraina non è neanche l’argomento fondamentale del dialogo, perché oltre allo sport delle palettate sul ghiaccio interessano i grandi affari energetici e minerari, e l’aggiramento delle sanzioni da affidare non soltanto ai sudditi caucasici e centrasiatici o al grande fratello cinese, ma direttamente ai partner americani. L’ultima cosa che può interessare lo zar sono le soluzioni per la pace, visto che ormai è assodato che la guerra rimarrà il contesto fondamentale della vita dei popoli, soprattutto in Europa e dintorni.

Una conferma ulteriore dell’intenzione putiniana di proseguire a oltranza la guerra è stata data dall’assemblea dell’Unione russa degli imprenditori e investitori (Rspp) nei giorni scorsi, in cui il presidente ha garantito che “la Russia è pronta ad attaccare Odessa”, se l’Ucraina non riconoscerà le regioni annesse della Crimea, di Lugansk, Donetsk, Zaporižja e Kherson, che i russi chiamano “il Donbass e la Novorossija”, le zone simboliche dei cosacchi e degli ebrei deportati nei secoli passati. All’inizio la pretesa si limitava al territorio storicamente più significativo della penisola di Crimea, occupata e inglobata nel 2014, ma siccome “nessuno ci ascoltava”, si è giunti a imporre la presenza russa anche al di là dei territori effettivamente conquistati, visto che parti di queste regioni sono ancora sotto il controllo dell’Ucraina. Putin ha comunque dichiarato che Mosca può andare anche oltre queste richieste, mirando a “tutti i territori attualmente sotto il controllo di Kiev”. Non a caso la telefonata con Trump ha avuto luogo subito dopo l’assemblea degli imprenditori, da cui lo zar ha preso particolare ispirazione.

L’incontro della Rspp ha peraltro lasciato una traccia molto ansiosa nell’animo degli industriali russi, soprattutto dopo la relazione del ministro delle finanze Anton Siluanov - riassunta con la frase “non ci sono soldi, ma voi tenete duro” dal presidente dell’associazione Aleksandr Šokhin - che ha anche invitato i presenti ha “sostenere le attività imprenditoriali con le preghiere, insieme alle azioni”. Siluanov ha insistito che il governo farà di tutto con “sussidi, privilegi e sconti”, raccomandando comunque di ridurre gli sprechi e liberarsi delle attività infruttuose, come sta attualmente facendo il colosso Gazprom, licenziando migliaia di dipendenti e mettendo all’asta le sue sedi più lussuose in tutto il Paese. Lo stesso Putin ha poi riconosciuto la necessità di “raffreddare l’economia”, anche se ha invitato a “non arrivare fino alle camere iperbariche”, pur non illudendosi nella speranza di annullamento delle sanzioni contro la Russia che “non hanno precedenti nella storia”, e sono l’espressione della volontà dell’Occidente di “non far crescere la nostra economia” per evitare inutili concorrenze sui mercati internazionali.

Il mantra putiniano in questo senso ribadisce “l’utilità delle sanzioni, che sono un catalizzatore del nostro sviluppo”, costringendo la Russia a ripensare sé stessa come un Paese autonomo e in perenne guerra con il mondo, senza doveri o debiti nei confronti degli altri. In verità i problemi non mancano, con le migliaia di miliardi di spese militari che alimentano l’inarrestabile inflazione, soffocando il business con tassi di interesse molto elevati ormai da mesi. Secondo i dati dello Zmakp, il Centro di analisi macro-economica e di prognosi a breve termine molto vicino al Cremlino, un’azienda su cinque in Russia è a rischio di chiusura, con un’economia determinata dalle “valanghe delle bancarotte corporative”. Il Pil nazionale era cresciuto nel 2024 del 4,1%, con un’economia gonfiata dagli investimenti nell’industria degli armamenti, ma per l’anno in corso il Fondo monetario internazionale prevede al massimo l’1.5%, tre volte di meno del precedente.

Serve quindi almeno una pausa, e le feste di maggio porteranno sicuramente a qualche forma di distensione temporanea. Più di tutti sono eccitati dalle ultime conversazioni imperiali i dirigenti della Crimea, che sperano nel riconoscimento dell’annessione da parte dell’America di Trump, non potendo accontentarsi di quelli dell’Iran, del Venezuela e della Corea del Nord. A Sebastopoli era stata smontata la copia della Statua della Libertà, che ora viene ripresa in fretta e furia dal deposito dove era stata dismessa per ordine dello speaker del parlamento crimeano Vladimir Konstantinov, secondo cui i “buoni risultati” della telefonata transoceanica riguardano proprio lo status della penisola del mar Nero. Egli aggiunge naturalmente che “non permetteremo agli americani di mettere le mani sulle nostre risorse, come stanno cercando di fare in Ucraina”, ma assicura che “la Crimea sarà uno spazio adeguato per il dialogo e la collaborazione a pari diritti e a vantaggio di tutti”, nello spirito della nuova Yalta trump-putiniana. Il voltafaccia è notevole, considerando che Konstantinov era uno dei più accesi critici di Trump prima della sua rielezione, considerandolo “un nemico peggiore di tutti gli altri”.

Il vice-premier della Crimea, Georgij Muradov, rappresentante di Putin nella penisola, vede nei colloqui di questi giorni il “superamento della contrapposizione tra le civiltà”, e addirittura “la formazione di un nuovo sistema di ordine mondiale, senza il conflitto militare globale”. Meglio di tutti rivela l’entusiasmo dei russi un imprenditore e blogger di Mosca che vive a Sebastopoli, Aleksandr Sergeev detto Gornyj, il “Montanaro”, che scrive “ecco che i pindosy sono diventati nostri amici”, usando un termine di origine ucraino-crimeana che indica il disprezzo ironico verso “gli sciocchi stranieri”, come anticamente venivano chiamati i greci della penisola, e gli americani durante i tempi sovietici. Ora è stata data indicazione ai propagandisti del Cremlino di non usare più il termine anglosaksy, visto che è finita la “guerra delle civiltà”, e tornano in voga i pindosy, facili da raggirare e da sfruttare.

Il blogger Gornyj assicura quindi che “torneremo a volare sui Boeing, a guidare le Ford e a usare le carte di credito Visa, sarà una grande turbolenza piena di sorprese, ci attendono già dall’estate grandi cataclismi e catastrofi climatiche, che si trasformeranno in invasioni tecnogeniche e in nuove crisi mondiali, e la nostra Crimea sarà al centro di tutto”. Questa è proprio la visione della “pace putiniana”, che non viene dagli accordi e dalle trattative, ma mettendo la Russia al centro del mondo, per impedire a chiunque di diventarne padrone. Non sarà un armistizio temporaneo, ma una pace eterna.

 

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