22/10/2022, 09.00
MONDO RUSSO
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La stretta finale

di Stefano Caprio

A otto mesi dall'inizio della guerra e con l'incombere dell'inverno quali sono le possibili vie d'uscita dallo scenario apocalittico? Per "fermare la follia" come supplica papa Francesco occorrerebbe compromessi che nessuna delle due parti vuole accettare. Ma anche la vittoria di una sull'altra - oltre che improbabile - sarebbe solo la garanzia di una divisione perenne. Bisognerebbe gettare le maschere ipocrite e mettere sul tavolo ciò che veramente desideriamo.

Siamo ormai alla conclusione dell’ottavo mese della guerra russa in Ucraina, e sembra avvicinarsi sempre più la stretta finale, con l’incombere del “generale inverno” in cui per tradizione tutte le guerre russe si congelano, si inabissano e si disperdono, siano esse offensive o difensive, invasioni o accerchiamenti, dai tempi antichi delle orde dei tartari fino a quelli recenti delle divisioni naziste, la conquista della Siberia o il naufragio dell’Afghanistan.

Putin ha proclamato la condizione generale di soluzione del conflitto, dopo un mese di drammatica e sconclusionata mobilitazione del popolo alle armi, con un decreto di emergenza nazionale definito sul runet, lo zoppicante internet russo, una “semi-condizione di semi-guerra”, poluvoennoe polupoloženie. Il grottesco e sgrammaticato nuovo capo dell’esercito al fronte, il generale Surovikin, è intervenuto in diretta televisiva minacciando sfracelli e guardando ovunque tranne che nella telecamera, mettendo in ombra il ministro della difesa Šojgu, “capro espiatorio” degli errori militari russi (lui stesso, del resto, non ha neanche fatto il servizio militare), che viene sacrificato sull’altare del rilancio della guerra ogni settimana, salvo rimanere formalmente al suo posto come zerbino di Putin.

Le zone occupate e annesse vengono evacuate della popolazione, per il timore della controffensiva ucraina, e forse per prepararle all’annientamento nucleare dimostrativo, che rada al suolo entrambi i Paesi, rendendoli così finalmente un territorio unificato e desertificato, de-nazificato alla radice. Il resto dell’Ucraina, in attesa di subire la stessa sorte, si appresta ad affrontare il buio e il gelo invernale, le cui ombre si stenderanno sull’Europa intera. Quali sono le possibili vie d’uscita da questo scenario apocalittico?

Fermare la guerra

La prima soluzione, certamente la più auspicabile, è che si riesca a fermare il processo distruttivo delle città, dei monumenti, delle vite e delle famiglie su entrambi i fronti. È l’incessante implorazione di papa Francesco, “fermare questa follia”, è il desiderio di chi sta sotto i bombardamenti dei droni-kamikaze iraniani, di chi vede figli e mariti andare a morire per una causa insensata, di tutti gli Stati e le popolazioni coinvolte nella guerra, e anche di quelle che ne sono apparentemente al riparo. Ed è la soluzione meno probabile.

Per fermare la guerra, bisogna fare proposte di pace, intavolare trattative, accettare compromessi. Come conferma il cardinale Zuppi, già negoziatore in Mozambico, questo significa provocare malumori e rancori da entrambe le parti, che considerano i mediatori come dei traditori. Non solo papi e cardinali, ma anche presidenti di ogni latitudine si propongono e si ritraggono, come il turco Erdogan o il francese Macron, o sorvegliano dall’alto i negoziati impossibili, come l’americano Biden o il cinese Xi Jinping, preoccupati di mantenersi ben saldi sui propri piedistalli. Chi potrà convincere Putin e Zelenskyj a incontrarsi, e con quali argomenti? Tra un mese vi sarà la riunione del G-20 di Bali, dove questo stallo apparirà comunque insuperabile.

Ogni possibile concessione alle due parti è condannata da vaste frange dell’opinione pubblica di ogni Paese, che esaspera i dubbi e le proposte come filo-putinismo radicale o fedeltà atlantica indefettibile, senza possibilità di incontro. Putin è il male assoluto, o l’Occidente è il male assoluto, dimenticando che per trent’anni questi mali assoluti si sono alimentati e ingrassati a vicenda, e nessuno può dirsi esente da responsabilità reciproche: sarà stata la Nato a provocare la Russia, sarà stata la Russia a rifiutare l’armonia universale, o l’Ucraina a perseguitare chi parla russo, o la Cina a ispirare chi vuole distruggere l’America, tutto questo è vero e falso allo stesso tempo. Se si vuole la pace bisogna però guardare al presente e al futuro. Ci sarà tempo, allora, di discutere di tutto il passato, recente e remoto.

Vincere la guerra

La seconda soluzione, quella attualmente in campo, è la distruzione dell’avversario, prima ancora che la proclamazione della propria vittoria. La Russia vuole cancellare l’Ucraina, più che annetterne tutti i territori. L’Occidente vuole ridurre la Russia a una landa insignificante, che non sia più motivo di fastidio per i mercati e i centri finanziari, prima che per le stesse popolazioni e istituzioni sociali. La corsa al riarmo vede coinvolti del resto tutti i Paesi del mondo in grado di produrne, gonfiando le tasche di chi le fornisce, come avviene in tutte le guerre, che da sempre sono una delle principali fonti di guadagno.

La vittoria non è solo l’esito sperato degli sforzi bellici del Cremlino, ma il fondamento ideologico di tutta la sua storia, che mostri quanto la Russia sia necessaria al mondo intero per salvarlo da ogni male. Nella distorta interpretazione dei suoi dirigenti, a partire dall’adolescenziale dittatore settantenne, la vittoria russa si ammanta di significati apocalittici, e avviene solo quando il mondo intero viene sconfitto, non solo l’avversario di turno. Da soli contro il mondo intero, questo significa essere vincitori, e se il mondo va in frantumi questo rende ancora più evidente il senso trionfale di questa guerra.

Nella visione dell’Occidente, la vittoria è invece una proprietà inalienabile: ogni Paese e ogni popolo che si lanci all’attacco della Grande globalizzazione è sconfitto in partenza, sia la Russia o l’Afghanistan, la Siria o il Venezuela, e perde il diritto all’esistenza. Anche questa interpretazione finisce per svelare una psicologia immatura, una considerazione di sé inadatta alle relazioni sociali, e il migliore esempio di questa fragilità endemica è proprio la nobile e presuntuosa Europa, massima fonte delle guerre nei secoli, sempre divisa su ogni decisione e posizione da prendere.

Non si tratta di riprendere i territori occupati fino alla Crimea, o di allargare la Nato anche alle colonie sulla Luna e su Marte, ma di rendersi conto che la ricerca della vittoria, oltre ad essere il più grande favore a chi punta ai soldi facili, è anche la migliore garanzia della divisione perenne e della sconfitta di ogni ideale, sia esso progressista o tradizionalista, omofobo o garantista, laico o religioso.

Continuare la guerra

Ciò che nessuno vuole, e che probabilmente sarà la soluzione reale, è che la guerra continui all’infinito. Le stesse strategie belliche, per quanto elaborate e ridefinite in continuazione, e analizzate da esperti mondiali che prolificano incessantemente, non sembrano mostrare scenari definitivi da nessuna delle parti, né in senso militare, né in favore del pacifismo. La Russia e l’Ucraina, del resto, sono in guerra dalle origini della Rus’ di Kiev, rappresentando le due facce di un popolo, o di un agglomerato di etnie, da sempre in bilico tra Oriente e Occidente.

La Russia non appare in grado di raggiungere lo scopo di conquistare l’Ucraina e rovesciarne il governo, annettendola come “regione meridionale” o Malorossija, come anticamente si chiamava. Questo obiettivo è fallito fin da febbraio, e la prosecuzione della guerra ha mostrato scopi sempre più labili e insignificanti, come l’annessione di zone devastate e non decisive. La mobilitazione, lo stato di guerra permanente, la minaccia nucleare sembrano più che altro delle giustificazioni per non fermarsi mai, non ammettere la sconfitta, perpetuare la propaganda di una missione universale di salvezza. La Russia ha già vinto, obbligando il mondo a guardare dalla sua parte, e non potrà ottenere altro che mantenere alta questa attenzione.

Appare quanto mai improbabile anche il rovesciamento del regime putiniano, sia per lo stato di asfissiante dittatura, sia per l’assoluta mancanza di alternative tra la cerchia del Cremlino e le altre espressioni, centrali o regionali, della politica russa. Aumenterà il disagio della popolazione, soprattutto nelle regioni periferiche e nelle etnie diverse da quella russa, ma anche questo appare un processo senza inizio e senza fine.

L’Ucraina ha ottenuto molto più quanto ha mai sognato nelle tante evoluzioni e rivoluzioni del trentennio post-sovietico. Ha finalmente affermato la propria autocoscienza di nazione, è diventata simbolo dell’Europa e dell’Occidente nella difesa della libertà e della democrazia, è sostenuta e protetta dalla Nato e dai più forti eserciti. Dovrà ricostruire le città distrutte, anche qui con i grandi sussidi che già sono stati promessi, e continuerà a incalzare la Russia su ogni villaggio conteso, anche a fronte di stermini locali con le armi atomiche. Ma non potrà riconquistare il Donbass e la Crimea, almeno in tempi prevedibili.

La guerra continua, a livello locale e globale, e tutti siamo coinvolti, desiderando la pace e sognando la vittoria. Dobbiamo imparare a vivere in guerra, usando le armi che corrispondono a ciò che veramente desideriamo, gettando le maschere ipocrite e ammettendo colpe e meriti. La guerra è la vita, chiede di schierarsi e impegnare sé stessi ogni giorno e in ogni situazione, implorando il Signore degli eserciti di venire nuovamente tra noi come la Luce delle nazioni, accettando la Croce per poter annunciare la Resurrezione.

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