La speranza di un nuovo inizio per il Paese, dopo le elezioni “manipolate”
New Delhi (AsiaNews) – Non è tanto importante decidere se boicottare le elezioni politiche che si terranno in Myanmar il 7 novembre, ma dopo il voto si dovrà ricominciare a cercare una soluzione per i problemi del Paese. E’ la convinzione di Tint Swe, ministro dell’Informazione del Governo in esilio di Coalizione Nazionale dell’Unione di Birmania (Ncgub), che commenta per AsiaNews la situazione e le prospettive del Paese.
Con le elezioni la giunta militare al potere in Birmania cerca, in modo disperato, di ottenere legittimità. Ma il voto è del tutto manipolato dal regime militare. La legittimità può venire solo da un’elezione indipendente e da media liberi. A parte ogni questione legale, le elezioni che si tengono in Myanmar dal 7 all’11 novembre servono solo a seppellire il voto tenuto nel 1990 [voto vinto dalla Lega Nazionale Democratica Nld guidata da Aung San Suu Kyi, dopo il quale la giunta militare prese il potere e incarcerò i leader politici].
La Commissione elettorale birmana non permetterà la presenza di osservatori esteri, con probabilità spiegando che il Paese ha sufficiente esperienza in materia elettorale. Non è certo ‘l’esperienza’ che garantisce l’imparzialità e la credibilità dell’elezione. Gli osservatori indipendenti, internazionali e locali, operano non solo nei Paesi con democrazie deboli o in fase di transizione, ma anche in Stati di democrazia piena come Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Svizzera.
Tra i Paesi del sudest asiatico negli anni recenti ci sono state due elezioni considerate punti di svolta per la democrazia, in Indonesia e in Cambogia. In entrambi i voti ci sono stati osservatori interni ed esteri, compreso un rappresentante del parlamento birmano, in esilio.
Le elezioni in Indonesia sono state tenute nel 1999 con la partecipazione di 48 partiti politici. Anche in Myanmar a novembre ci saranno 42 partiti, dopo che la Nld di Aung San Suu Kyi e altri 5 partiti sono stati banditi. Ma la grande differenza è la presenza, o meno, di osservatori internazionali.
Il leader militare birmano Than Swe non è come l’allora presidente indonesiano Jusuf Habibie che supervisionò le elezioni politiche del 1999. Quelle elezioni furono controllate da una Commissione elettorale generale comprendente 5 membri del governo e uno per ogni partito. Invece tutti i membri della Commissione elettorale birmana sono stati scelti dalla giunta e nessuno è dei partiti.
In Cambogia, gli Accordi di pace di Parigi nel 1991 poserò fine a decenni di guerra civile e di occupazione estera e ci sono poi state 3 elezioni generali nel 1993, 1998 e 2003. Anche se le elezioni parlamentari del 27 luglio 2003 sono state vinte dal dominante premier Hun Sen, sono state tenute alla presenza di osservatori interni ed esteri.
Le autorità birmane hanno annunciato che nei giorni del voto non sarà garantito l’ingresso a giornalisti esteri. Di certo hanno qualcosa da nascondere. Ci sono 12 giornalisti e 12 parlamentari in carcere. Il gruppo Reporter Senza Frontiere ritiene il Myanmar al 5° posto per la poca libertà dei media, dopo Iran, Turkmenistan, Corea del Nord e Eritrea.
La popolazione birmana si chiede come la comunità internazionale reagirà ai risultati di questo voto. Ma non si aspetta che il mondo si dissoci dal nuovo regime che sarà creato. Quando tutti i vantaggi economici vanno a chi tratta con il regime, le considerazioni morali sono trascurate dai Paesi che agiscono in modo cosiddetto pragmatico verso il Myanmar.
Così, a cosa serve boicottare le elezioni, l’invito dei vincitori delle elezioni del 1990 ovvero la Nld e la United Nationalities League for Democracy?
Ci sono preoccupazioni che ricomincino scontri armati tra l’esercito e alcuni gruppi. La questione etnica, che si è trascinata per mezzo secolo, non sarà risolta con un voto. Nel nuovo governo, i ministri responsabili per questi problemi saranno scelti dal presidente, che sarà lo steso Than Swe.
Il 24 ottobre i leader del Nld e delle etnie hanno deliberato la “Risoluzione Kalaymyo”, che chiede una seconda “Conferenza di Panglong”. La prima conferenza ha portato all’accordo storico tra Aung San e i leader etnici il 12 febbraio 1947 che rese possibile l’indipendenza dalla Gran Bretagna. I problemi del Myanmar non possono essere risolti con questo voto, ma da una 2° Conferenza di Panglong.
Il Paese deve divorziare dalla dittatura. Dopo il voto ci saranno di certo nuove possibilità. Allora Aung San Suu Kyi, le nazionalità etniche e la popolazione potranno lavorare, con il rinnovato sostegno di nuovi e vecchi amici. (Ha collaborato Nirmala Carvalho)