La sfida di Pyongyang è una supplica agli USA perché non cada il regime
Tokyo (AsiaNews) La dichiarazione del governo di Pyongyang di sospendere a tempo indefinito i dialoghi a sei per la soluzione del problema nucleare mira ad una posizione di forza per ottenere dagli Stati Uniti il riconoscimento diplomatico e soprattutto un trattato di non aggressione. Più che gli aiuti economici, ai dirigenti della Corea del nord sta a cuore la conservazione del regime. E chi lo può far cadere è la potenza militare dell'America.
Secondo Pyongyang ciò che rovina l'atmosfera dei colloqui è "la politica ostile" dell'amministrazione del presidente George Bush che, in modo sempre più chiaro, isola la DPRK (la repubblica democratica popolare della Corea). "Per difendersi dall'aggressione, diceva la dichiarazione del ministero del 10 febbraio scorso, la Corea del Nord ha prodotto bombe nucleari".
La dichiarazione ha sorpreso molti perchè, dopo l'accenno breve e corretto del presidente americano nel discorso dalla nazione del 2 febbraio, sembrava prossima l'apertura del quarto round della conferenza a sei. Anche il leader di una delegazione parlamentare statunitense che si era recata nella Corea del nord nel gennaio scorso, aveva predetto che Pyongyang sarebbe tornata al tavolo delle trattative dopo le feste del nuovo anno lunare (circa la metà di febbraio).
Tuttavia gli specialisti in materia non sono molto sorpresi. Con l'audace dichiarazione Pyongyang non mira tanto a disertare la conferenza dei sei, quanto a parteciparvi da una posizione di forza. Un analista del quotidiano giapponese Yomiuri ha scritto: "L'invettiva dei dirigenti della Corea del Nord può essere considerata come un altro tentativo di estorcere concessioni in cambio del ritorno al tavolo dei negoziati". Il professor Koh Yoo-hwan dell'università Dongguk (Seoul) ritiene che il "Nord vuole negoziare, ma vuole farlo come potenza nucleare". Secondo l'editorialista del quotidiano giapponese Asahi, invece, il bersaglio della dichiarazione sarebbe l'attuale politica dell'amministrazione Bush verso la Corea del Nord.
Nel discorso d' inaugurazione in gennaio il presidente americano ha detto che lo "scopo fondamentale (della politica estera americana) e' far cessare le oppressioni nel mondo". Gli ha fatto eco la nuova responsabile del Dipartimento di Stato, Condoleezza Rice, che non si è peritata di definire la Corea del Nord "una base di tirannia". È noto che Pyongyang da principio ha accettato a malincuore di partecipare alla conferenza dei sei, e lo ha fatto soprattutto perchè fortemente esortata dalla Cina, l'unica sua alleata. Ma essa ha sempre mirato a negoziati diretti con gli Stati Uniti, gli unici che potrebbero far cadere il suo regime.
Anche il tempo della dichiarazione ne rivela il vero motivo. Essa è stata fatta mentre il ministro degli esteri della Corea del Sud, Ban Ki-moon, era in viaggio verso Washington, dove lunedì 14 avrà un incontro con la Rice. Pressappoco nello stesso tempo un alto ufficiale cinese sarà a Pyongyang per un dialogo con i vertici nord-coreani. Lo scopo e il contenuto dei colloqui dell'uno e dell'altro sono facilmente intuibili. Due settimane fa Michael Green, inviato personale del presidente Bush, si è recato a Beijing e Seoul, oltre che a Tokyo, per informare i governi delle tre nazioni che la Corea del Nord non possiede solo plutonio ma anche uranio arricchito e per coordinare l'azione dei principali membri della conferenza dei sei. Pyongyang ha intuito che l'ora di prendere una decisione circa lo smantellamento dell'arsenale nucleare stava per suonare. Ma i dirigenti del nord non vogliono prenderla e allora, come hanno fatto molte volte nel passato, sono ricorsi alla tattica del temporeggiamento e della minaccia.
"Le cinque nazioni (membri) della conferenza dei sei, si legge sul quotidiano Yomiuri, dovrebbero esortare fortemente la Corea del Nord a ritornare al tavolo dei colloqui il più presto possibile e, nello stesso tempo, far fronte unito per resistere energicamente alla minaccia di Pyongyang". Sembra proprio che stiano muovendosi in questa direzione.