La seconda nascita della Russia ortodossa
In Russia l’osservanza del 7 gennaio come data del Natale del calendario giuliano esalta in maniera particolare quest'anno la proclamazione del patriarcato di Mosca come “unica vera Chiesa”. Ma rinascita della fede patriottica non è l’unica definizione dell’Ortodossia russa attuale. C'è anche il percorso di chi come il protoierej in esilio Andrej Kordočkin prega con le parole: "Restituiscimi mia madre".
Le festività natalizie ortodosse di quest’anno rimarcano ulteriormente la contrapposizione tra le Chiese e i popoli della Russia e dell’Ucraina. Dopo che a Kiev è stata presa la decisione di dichiarare il 25 dicembre come giorno ufficiale della festa statale, celebrata dalle giurisdizioni ecclesiastiche della Chiesa ortodossa autocefala e della Chiesa greco-cattolica, l’osservanza del 7 gennaio come data del calendario giuliano esalta la proclamazione del patriarcato di Mosca come “unica vera Chiesa”, in contrapposizione a tutte le depravazioni non solo morali, ma perfino liturgiche, dell’Occidente eretico e scismatico.
In realtà non sono solo i russi a rimanere fedeli al vecchio calendario, una scelta che risale al tempo della stessa creazione del patriarcato di Mosca. Il nuovo calendario fu introdotto dal papa Gregorio XIII nel 1582, e sette anni dopo venne istituito a Mosca il patriarcato, una nuova realtà ecclesiastica che doveva rifulgere come la “Terza Roma” chiamata a salvare il mondo anche con le date “tradizionali”, oltre che con i dogmi antichi e i valori morali e sociali. Oggi celebrano al 7 gennaio (pur sempre il 25 dicembre secondo il calendario giuliano) molte Chiese ortodosse in ordine sparso, secondo il grado di fedeltà alle abitudini locali e di affermazione di una propria identità specifica, magari proprio per distinguersi da altre espressioni della stessa Ortodossia, come è capitato storicamente alle varie giurisdizioni di lingua greca, romena, slava o siriaca, e come oggi ripropone il dramma della rottura tra russi e ucraini.
Per i russi quest’anno è dunque una replica della nascita stessa del patriarcato di Mosca, prima storica identificazione di Chiesa e Popolo, dopo che per un millennio e mezzo le strutture ecclesiastiche avevano sempre cercato di evitare la sovrapposizione etnico-nazionale, sia in Oriente che in Occidente. Paradossalmente, l’analogia con la scelta imposta dallo zar Boris Godunov porterà allo scisma protestante di Martin Lutero e al principio anti-papalino del cujus regio, ejus religio, definito dalla pace di Augusta del 1555 dall’imperatore del Sacro Romano Impero Carlo V d’Asburgo – anch’egli come i russi alla ricerca di una efficace translatio imperii – per determinare la religione imperiale nella coesistenza tra luteranesimo e cattolicesimo. Le popolazioni di confessione diversa da quella dei principi a cui erano sottomesse dovevano adattarsi, oppure emigrare.
La definizione più esplicita di questa riscoperta del patriarcato imperiale l’ha offerta in questi giorni l’arcivescovo di Zelenograd, Savva (Tutunov), fedelissimo del patriarca di Mosca Kirill e suo vicario episcopale. Sul suo canale Telegram Cogito ergo sum egli parla di questo Natale 2024 come “la rinascita della Rus’ Ortodossa e del popolo russo, sotto l’aquila bicipite si rifonde la grande famiglia degli slavi”. Facendo un bilancio dell’anno passato, Savva ricorda anzitutto le perdite, “i nostri militi e le nostre persone pacifiche, anche in questi ultimi giorni”, ma questo non deve gettare nello sconforto, perché “la loro perdita ci rafforza, essi sono testimoni della nostra gloria, della nostra forza e della nostra unità”.
Tutunov non è soltanto l’ennesimo satellite del vulcanico patriarca, abituato a innalzare e disfarsi dei più stretti collaboratori con ritmi frenetici. 46 anni, nato in periferia di Parigi da una famiglia di emigrati russi di origine aristocratica di primo livello (discendenti del principe Golitsyn), Sergej (il suo nome di nascita) cominciò a frequentare la cattedrale russa di S. Aleksandr Nevskij a Parigi, centro della giurisdizione costantinopolitana creata per i russi emigrati dopo la rivoluzione, e soppressa nel 2018 dal patriarca Bartolomeo poco prima di approvare l’autocefalia ucraina, in modo da non avere più legami diretti con la Russia. Dopo aver ottenuto la laurea in matematica superiore all’università di Parigi, Sergej entrò nel seminario ortodosso di Mosca, prendendo nel 2001 i voti monastici con il nome di Savva in onore dell’omonimo “difensore di Mosca” Savva Storoževskij, un monaco che a inizio Quattrocento ispirò le armate del principe Dmitrij Donskoj contro i tatari accampati a Zvenigorod, vicino alla capitale. Tornò a Parigi al servizio dei russi costantinopolitani, ma poco dopo fu richiamato a Mosca entrando nella squadra dell’allora metropolita Kirill (Gundjaev), al dipartimento per le relazioni esterne del patriarcato, diventando archimandrita a soli 30 anni.
Dopo la rottura con Costantinopoli, Savva fu uno dei più decisi nel convincere sacerdoti e vescovi in Europa a confluire nel patriarcato russo, e fu premiato da Kirill nel 2019 con il titolo di vescovo di Zelenograd, creato apposta per lui, e vicario del patriarca di tutte le Russie. Egli quindi rappresenta il modello più evidente di affermazione ecclesiastica del russkij mir, che raduna tutti i propri figli da qualunque parte del mondo: un russo-francese, che non accetta la deriva occidentale degli altri ortodossi e riafferma la sua vera identità. È la variante dogmatico-canonica dell’inno Ja russkij! – Io sono russo! del cantante Šaman, diventato ormai anche il jingle della nuova campagna elettorale dello zar.
Savva scrive nel suo messaggio che “finalmente abbiamo trovato la giusta formulazione della idea russa”, che svela al mondo “chi sono i russi: un etnos formato da coloro che si considerano russi, che lo siano per nascita o per sincera adesione, coloro che amano la cultura russa e la sua storia, adottano i costumi dei russi, conoscono o perlomeno apprezzano la lingua russa, condividono gli ideali spirituali russi, sono ortodossi o hanno rispetto per l’Ortodossia, come nostra fede formativa del popolo”. I russi etnici sono solo l’avanguardia del “popolo multicomposito della Russia”, usando il neologismo mnogosostavnyj, e quindi secondo il giovane arcivescovo “chiunque si riconosce in questi requisiti può dire di sé stesso: Io sono russo!, e un combattente per la causa della Russia può gridare: Noi siamo russi, e Dio è con noi!”.
Per ribadire la sua consonanza con il canto patriottico, Savva allega una composizione profetica rispetto al rock di Šaman, una poesia del 1908 di Jakob Arakin, scritta al tempo dell’occupazione russa di Harbin in Cina, dove il poeta è vissuto ed è morto. In essa si canta proprio l’identità del russo al di fuori di ogni confine: Io sono russo, e pur se nato al settentrione / mi sono care anche le terre del mezzogiorno, / io credo nella mia amata regione / nel regno vittorioso degli slavi! / Io credo che giungerà il tempo / quando sotto l’aquila bicipite / si fonderà la grande famiglia degli slavi (l’augurio di Savva per questo Natale), concludendo con il ritornello Io sono russo, e prego per i giorni senza timore / per la patria da Dio amata / la Rus’ che io amo più della vita / che io amo con tutto il mio cuore!
La rinascita della fede patriottica, peraltro, non è l’unica definizione dell’Ortodossia russa attuale. Molti altri sacerdoti russi sono stati rigettati e anatemizzati per la loro negazione dell’interpretazione bellica della religione, e anch’essi hanno inviato i loro auguri su siti alternativi, per lo più dall’estero, dove continuano a svolgere il loro servizio ecclesiale nelle Chiese che non si allineano al patriarcato di Mosca, non solo in Ucraina, ma in tutto il mondo ortodosso, seguendo l’itinerario diametralmente opposto a quello del vescovo Savva.
Uno di questi è il protoierej Andrej Kordočkin, che racconta sul canale YouTube di Meduza come “un anno fa camminavo per le vie di Belgrado, e ho visto su un muro un graffito con una caricatura malevola del volto di Vladimir Putin, con a fianco una scritta: Restituisci mia madre! È quello che provano molte persone in tutto il mondo, giovani e meno giovani, credenti e non credenti: molti chiedono il ritorno delle persone travolte dalla guerra, ma forse quella scritta chiedeva la restituzione della vera Madre Russia, tradita da chi ora l’ha resa un mostro irriconoscibile”. Padre Andrej riconosce che “la Chiesa, perlomeno io personalmente, non ha una risposta a queste richieste, ma possiamo cercare di avvicinarci, alla luce del vangelo”.
Il sacerdote, ex-segretario dell’esarcato ispano-portoghese del patriarcato di Mosca, da cui è stato cacciato, ricorda l’episodio del cieco nato nel vangelo di Giovanni, a cui i farisei e i sacerdoti fanno l’interrogatorio come se fossero membri dei servizi dell’Fsb, incutendo timore negli stessi genitori del miracolato: “sanno che chiunque manifesterà la sua fede in Cristo verrà espulso dalla sinagoga”. Anche il cieco viene mandato via, perché “quando uno dei ciechi comincia a vedere, egli diventa uno di troppo, diventa pericoloso”. Secondo padre Andrej, è quello che oggi si applica alla “difesa dei valori tradizionali, che non sono sbandierati dal vangelo, perché per il cristianesimo questi valori non vanno difesi e inculcati: essi sono evidenti, e devono semplicemente essere vissuti”.
Questa è la differenza tra la fede “patriottica” e quella “ecumenica”, o semplicemente cristiana, conclude Kordočkin: “non imporre delle risposte, ma ascoltare le domande, e rendersi disponibili al miracolo della guarigione, recuperando la vista”. Il cieco nato è simbolo del battesimo pasquale, il vero contenuto del Natale e la vera rinascita della Russia, la rinascita dell’uomo.
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