07/07/2006, 00.00
India – Cina
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La riapertura del Passo del Nathu "ha schiacciato la causa tibetana"

di Prakash Dubey

L'accordo fra Cina ed India sulla riapertura della "Porta per la Via della Seta" porterà vantaggi economici alla regione e ad entrambi i governi, ma ha distrutto ogni speranza di rientro a casa per gli esiliati tibetani fedeli al Dalai Lama.

Gangtok (AsiaNews) – La riapertura del Passo del Nathu – la "Porta per la Via della Seta" – segna la fine del conflitto sino-indiano, il riconoscimento formale del Sikkim come Stato fedele a Delhi ed il crollo delle ultime speranze dei tibetani fedeli al Dalai Lama.

Il Passo, che unisce Cina ed India a circa quattro mila metri d'altezza, è stato riaperto ieri mattina con una solenne cerimonia alla quale hanno partecipato i leader politici dello Stato indiano del Sikkim e quelli della Regione autonoma tibetana. Presenti inoltre le massime cariche dei due eserciti e delle diplomazie.

Il primo ministro del Sikkim, Pawan Kumar Chamling, ha detto di essere "esaltato" dalla riapertura, avvenuta dopo 44 anni di conflitti e contrasti, ed ha espresso la speranza che la decisione "aiuti a dare nuova vita alle relazioni centenarie economiche e culturali fra i due Paesi". Il Passo del Nathu venne chiuso dalla dichiarazione della guerra indo-cinese, nel 1962.

"Per l'India – spiega ad AsiaNews Gajendra Mishra, che studia da anni le relazioni fra i due Paesi – la decisione di riaprire il valico rappresenta una grande vittoria, perché mette fine alla disputa territoriale sul Sikkim, che ormai anche Pechino riconosce come indiano, anche se la zona è stata per secoli un Regno autonomo di fede buddista". "La riapertura del Nathu – continua Mishra – segna il formale riconoscimento del Sikkim come parte inalienabile dell'India: i più felici sono gli abitanti della zona, circa 500 mila, che per 50 anni sono stati terrorizzati dallo spettro di una guerra e di un cambio di bandiera".

"L'aspetto doloroso della questione – continua lo studioso – va invece cercato nella causa tibetana, oramai tradita dal governo indiano. Non vi sono dubbi che l'interesse nazionale e il riconoscimento del Sikkim vengono prima di ogni cosa, ma Delhi avrebbe potuto pensare anche a risolvere in maniera dignitosa la questione del Dalai Lama e dei suoi seguaci, prima di tradirli in questo modo".

Raghav Shrestha, buddista che vive nei pressi del Passo, sottolinea che "i dignitari cinesi che hanno partecipato alla cerimonia erano tutti di etnia Han, un chiaro messaggio. L'idea di Regione autonoma è un mito". "Oramai – aggiunge – il Tibet è divenuto una colonia soggiogata dalla potenza militare dell'Esercito di liberazione popolare. Sarebbe stato magnifico se vi fosse stato alla cerimonia qualche monaco buddista, anche un pupazzo ammaestrato da Pechino. Almeno avrebbe fatto sembrare ancora vivi il modo di vivere e la cultura tibetana".

"L'ultimo schiaffo alla causa tibetana – riprende Mishra – è stato dato da Pechino con la scelta della data della riapertura: il 6 luglio, compleanno del Dalai Lama, rifugiatosi in India nel 1959 tramite questo stesso Passo".

"Io non posso dire – conclude lo studioso – se l'India abbia avuto consapevolezza di tutti questi aspetti quando ha accettato la riapertura del Nathu. Quello che è certo, è che ormai i tibetani fedeli al governo del Dalai Lama non possono più sperare in un aiuto indiano per tornare da padroni nella loro casa. Se vorranno tornare in Tibet, lo dovranno fare sotto le regole cinesi e, probabilmente, passando il Nathu".

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