01/07/2011, 00.00
TIBET - CINA
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La quotidiana persecuzione di polizia a Kardze

di Nirmala Carvalho
A Kardze (Ganzi), Sichuan, migliaia di poliziotti da mesi controllano ogni via, ogni persona. Il carcere locale è pieno di monaci, suore, tibetani che hanno manifestato solidarietà al Dalai Lama. Un turista estero racconta le violenze quotidiane e feroci della polizia cui ha assistito.
Dharamsala (AsiaNews) – Altre 3 persone, tra cui le monache Kunga Choezom di 22 anni e Deckyi Lhamo di 18, del monastero di Gyemadra, sono state arrestate il 28 giugno a Kardze (in cinese: Ganzi) nel Sichuan tibetano, per avere chiesto il ritorno del Dalai Lama e la libertà religiosa. Sulla grave situazione nella zona AsiaNews pubblica il resoconto di un testimone oculare, un turista che di recente ha visitato la zona.

Nel solo giugno ci sono stati almeno 39 arresti a Kardze per dimostrazioni con slogan come “Lunga vita al Dalai Lama”, “Tibet Libero”, “Il Dalai Lama ritorni in Tibet”. La zona è presidiata da migliaia di soldati e poliziotti e la popolazione vive nel timore di repressioni contro ogni minima protesta. Questa massiccia presenza di polizia è la prima cosa che il viaggiatore nota.

“Ci sono migliaia di poliziotti e di soldati – scrive il turista – in tenuta antisommossa, pattugliano le strade con autocarri e marciando a piedi in formazione. Molti stanno agli angoli delle vie e molti di più sono in borghese”.

“Passeggiavo con delle monache, le hanno fermate e hanno detto loro che non possono passeggiare per la strada. Sono state davvero coraggiose e hanno risposto alla polizia di essersi perse e hanno continuato a camminare. C’erano veicoli blindati con grandi canne da fuoco sul tetto, autocarri pieni di soldati, auto della polizia, auto della polizia prive di contrassegni giravano di continuo, passava un loro veicolo circa ogni uno o due minuti. C’erano poliziotti ogni pochi metri sulla strada principale e molti ad ogni angolo”.

“Sono stato a Ganzi due volte. La prima c’era circa la metà della polizia [trovata poi]. La seconda volta, una settimana dopo, c’era parecchia tensione. C’erano state voci di monaci che avevano protestato per il Tibet libero. Mentre tornavamo a Ganzi la seconda volta, il nostro veicolo è stato fermato due volte nei sobborghi, hanno controllato se c’erano monaci, suore o stranieri. Loro prendono nota dei documenti di ogni monaco e monaca che entrano a Ganzi”.

“Nella città c’è una grande prigione prima di prigionieri politici tibetani. La sera, la televisione mostra sequenze di prigionieri pentiti per i loro crimini, dopo essere stati percossi e sottomessi. Uno di loro era una vecchia nomade di circa 80 anni, storpia e curva. I suoi 3 figli sono stati uccisi e lei è andata per la città gridando 'Tibet Libero'. I miei amici a Ganzi, di cui non dico il nome per proteggerli, hanno avuto parecchi familiari in prigione, nel passato. Il padre è stato detenuto per 2 anni e torturato più volte. Due nipoti, che sono monache, sono state in prigione nel 2008 perché hanno scritto una lettera per sostenere il al Dalai Lama e chiedergli di tornare in Tibet. Sono monache giovani di circa 20 anni e sono state imprigionate per 2 e 3 anni. Nel descrivermi le torture subite, loro hanno iniziato a piangere, le ferite mentali ed emotive sono ancora fresche”.

Il Centro tibetano per i Diritti Umani e la Democrazia ha denunciato altri arresti di religiosi. Il 18 giugno le monache Choesang e Peltruk, del monastero di Dhargye Nyagye, contea di Kardze, hanno manifestato dimostrato la mattina avanti al mercato cittadino gridando: “Lunga vita al Dalai Lama”, “Libertà in Tibet” e “Il Dalai Lama torni in Tibet” e distribuendo volantini. La polizia è arrivata in circa 10 minuti e le ha subito portate via.
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