La politica petrolifera degli Stati del Golfo ignora gli interessi occidentali
Kuwait City (AsiaNews/Agenzie) – C’è malcontento a Washington, dopo che il 5 marzo a Vienna Arabia Saudita, Kuwait, Emirati Arabi Uniti e Qatar, insieme agli altri Stati dell’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (Opec), hanno deciso di mantenere l’attuale produzione, senza accogliere la richiesta Usa di aumentare la produzione di greggio per far scendere i prezzi, giunti ieri a superare i 105 dollari a barile.
In passato gli Stati del Golfo, che producono circa la metà degli attuali 29,67 milioni di barili quotidiani di greggio dell’Opec, sono stati l’ala moderata, attenta alle esigenze dei Paesi grandi consumatori. Ma ora appaiono considerare solo il proprio vantaggio economico. Dalla riunione è emersa la convinzione che l’aumento di prezzo non dipenda dalla produzione, ma da fattori politici e di altro tipo, e che, peraltro, il maggior prezzo incida poco sulla domanda e il consumo.
Il noto esperto petrolifero Kamel al-Harami osserva che “il gasolio ha raggiunto il massimo prezzo da 14 anni e negli Stati Uniti le scorte sono aumentate per 6 settimane di fila”. “L’alto prezzo del petrolio non dipende dalla scarsa produzione ma soprattutto dalla debolezza del dollaro, speculazioni e interferenze nei mercati finanziari. L’Opec può fare poco”. Anzi, “secondo le leggi di mercato e la logica – prosegue - i Paesi Opec avrebbero dovuto tagliare la produzione, in vista dell’abituale minor domanda che si prevede per il secondo trimestre” dell’anno.
Esperti dei Paesi produttori affermano che la decisione è stata “puramente tecnica e basata su dati precisi”. Notano che i 13 Paesi Opec producono circa il 40% del petrolio mondiale e non possono influire molto sul prezzo, anche perché già operano quasi al massimo delle capacità produttive.