La pericolosa corsa agli armamenti dei Paesi del Golfo
Roma (AsiaNews) - Caccia bombardieri F15, elicotteri d'assalto Apache e Black Hawk e speciali sistemi di difesa missilistica, sono alcuni degli armamenti acquistati negli ultimi anni dai Paesi del Golfo preoccupati per le crescenti tensioni in Medio Oriente. La conferma giunge da varie ricerche pubblicate fra il 2010 e il 2012 che stimano il traffico di armi delle monarchie della penisola araba a oltre 40 miliari di dollari nel solo 2012. "Nel Golfo Persico è in atto una vera e propria corsa agli armamenti", afferma ad AsiaNews Jan Grebe, ricercatore del Bonn International Center of Conversion (Bicc), organizzazione tedesca specializzata nel controllo del traffico globale di armi.
Nel 2012 l'Arabia Saudita ha firmato contratti con gli Stati Uniti per oltre 34 miliardi di dollari. Fra gli acquisti vi sono ben 84 caccia bombardieri F15, 132 elicotteri Black Hawk. Aerei e mezzi blindati non sono l'unico investimento della monarchia saudita. Ai primi di febbraio la Lockheed Martin, compagnia statunitense leader mondiale del settore aerospaziale e militare, ha firmato un accordo con la King Abdulaziz City for Science and Technology, la più importante società saudita per lo sviluppo tecnologico. Il colosso Usa ha anche aperto la sua prima sede nella capitale saudita e fino al 2020 venderà al regno know-how strategico sulla costruzione di armi e sistemi informatici di difesa. Sull'onda di Riyadh anche gli altri Stati del Golfo hanno iniziato a stringere accordi per il rinnovo e l'addestramento dei loro eserciti. In novembre gli Emirati Arabi Uniti hanno acquistato uno scudo antimissile avanzato che comprende radar di alta precisione e sistemi balistici per un valore di 3,49 miliardi dollari, oltre a 16 elicotteri Chinook per 939 milioni dollari. L'Oman (2,8 milioni di abitanti) ha sostituito i vecchi Tornado con 18 caccia F-16 spendendo in un solo anno ben 1,4 miliardi. L'emiro del Qatar, diventato nell'ultimo anno uno dei più grandi sostenitori dell'economia europea in crisi, ha speso 9,9 miliardi di dollari nel 2012 per la realizzazione di batterie in grado di lanciare missili Patriot e avrebbe pronti contratti militari con gli Usa per il 2013.
Di recente anche il governo tedesco ha venduto 200 carri armati Leopard e altro materiale bellico ad Arabia Saudita e Qatar, firmando un contratto da 2 miliardi di dollari. "Berlino - afferma Grebe - ha giustificato la mossa come un modo per tutelare la sicurezza nazionale e mondiale". Sulla scia della Germania anche Londra sta contrattando con i sauditi la vendita di caccia bombardieri, come emerso in dicembre nella visita del Premier James Cameron a Riyadh. "Negli ultimi anni - continua l'esperto - i Paesi europei hanno riconosciuto l'importanza strategica degli Stati del Golfo e sono diventati partner dei vari sceicchi. Il tutto avviene in concorrenza con gli Stati Uniti, che finora detengono il primato di investimenti militari nella regione". Per lo studioso i Paesi occidentali vogliono rendere gli Stati del Golfo più stabili e autonomi sul piano militare. Lo scopo è dotare le monarchie di eserciti capaci di risolvere una eventuale crisi nella regione minacciata dalla guerra civile siriana, dal programma nucleare iraniano e dal conflitto israelo-palestinese.
Grebe sottolinea che le ragioni dietro a questo riarmo sono soprattutto due: difendersi da un eventuale attacco iraniano e rafforzare la propria stabilità interna. Egli non esclude l'impiego di carri armati Leopard per reprimere rivolte interne o in Paesi confinanti, come accaduto in Bahrain nel 2012. Lo studioso non ha prove dirette a conferma del contrabbando di armi a sostegno della ribellione in Siria o del terrorismo islamico in nord Africa. "I dati analizzati - afferma - sono troppi pochi per avere delle certezze. Anche se nessuno conosce le reali ragioni che stanno spingendo Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi e Oman a rinnovare tutti insieme i loro eserciti e ad iniziare politiche militari comuni". La maggior parte dei documenti contrattuali pubblicati sono incompleti o sotto segreto militare. "Questi Stati - aggiunge - hanno politiche condivise solo sul petrolio. Sul piano politico e strategico hanno idee molto diverse, ed alcuni sono in competizione fra loro per la supremazia nella regione [Qatar e Arabia Saudita]".
Rimane il fatto che Arabia Saudita, Qatar, Kuwait, Bahrain, Oman ed Emirati Arabi Uniti sono fra i 10 Paesi più militarizzati al mondo. Una delle prime vittime di questa escalation militare è la spesa sociale. Negli ultimi cinque anni ciascuna monarchia ha destinato in media circa il 10% del proprio Pil per spese legate all'esercito. Il dato è il più alto al mondo, se paragonato al 4,5% degli Stati Uniti e alla media globale di circa il 2,5%. Esso è ancora più allarmante se confrontato con gli investimenti in sanità ed educazione. La bandiera nera spetta al Qatar che destina alla salute l'1,8% del Pil e alla scuola un magro 2,5% a fronte di una crescita economica annuale del 18,8%. L'Arabia Saudita investe nel settore sanitario e scolastico il 4% e il 5,6%. Tali valori, non si discostano molto da quelli dell'Iran che anzi ha un rapporto fra Pil, spesa per gli armamenti e sociale migliore di molti Stati arabi. A "sorpresa" la Repubblica islamica è 34ma nel ranking per la spesa militare del Bicc, dove le prime 10 posizioni sono occupate da Israele - primo nella classifica - e dagli Stati del Golfo. Con il 5,6% destinato alla sanità e al 4,7% all'educazione, l'Iran supera di circa un punto percentuale la media delle monarchie arabe alleate dell'occidente.
V. il rapporto diffuso alla fine del 2012 dal Bicc. Lo studio intolato Global Militarization Index (Gmi) analizza il rapporto fra Prodotto interno lordo di uno Stato e la spesa per gli armamenti. http://www.bicc.de/publications/publicationpage/publication/annual-report-2012-335/
Cfr. http://data.worldbank.org/topic/