15/02/2025, 08.24
MONDO RUSSO
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La nuova Yalta di Putin e Trump

di Stefano Caprio

Gli 80 anni della Conferenza tra Stalin, Roosevelt e Churchill e le rinnovate mire degli imperatori di oggi di dividersi il mondo. Mentre nelle stesse commemorazioni l’argomento principale ormai non è la conclusione della guerra, ma quale regime instaurare a Kiev nei prossimi anni.

In questi giorni si ricordano gli 80 anni dalla conferenza di Yalta, che si tenne dal 4 all’11 febbraio 1945 nella penisola sul Mar Nero, da cui poi ha avuto inizio la guerra attuale tra la Russia e l’Ucraina nel 2014. Vi parteciparono i tre capi di Stato vincitori della seconda guerra mondiale, Iosif Stalin, Franklin Delano Roosevelt e Winston Churchill, e la propaganda russa si sta dedicando all’interpretazione dell’evento con una serie di manifestazioni, chiamando la Crimea “patria dell’Onu” e “patria del nuovo ordine mondiale”, fino alla proposta di trasferire in Crimea la nuova sede dell’Onu “nella prospettiva di un nuovo mondo multipolare”.

È di questo che si apprestano a parlare i due imperatori, Vladimir Putin e Donald Trump, e certamente il primo sogna di poter tornare nel palazzo di Livadija dove avvenne la conferenza del 1945, residenza estiva degli ultimi zar. La “nuova Yalta” si terrà invece in terreno neutro, probabilmente in Arabia Saudita, e lo scopo sarà simile a quello di ottant’anni fa: dividersi il mondo e proclamare lo stato perenne di guerra, non più “fredda”, ma “ibrida”, come conviene nelle dimensioni digitali e artificiali di questo nuovo millennio. E non sarà la riunione della trojka dei vincitori, ma della coppia speculare dei grandi imperialismi di Oriente e Occidente, pur con l’ombra degli alleati dietro le spalle, l’imprevedibile e debole Europa e l’indecifrabile e potentissima Cina.

Il terzo incomodo tra Putin e Trump sarà la derelitta e martoriata Ucraina, il cui presidente Volodymyr Zelenskyj è ormai delegittimato da entrambi. Affermando che “è ora di preparare le elezioni a Kiev”, che “l’Ucraina potrebbe anche diventare russa” e in ogni caso “non farà parte della Nato”, Trump ha di fatto dato ragione a Putin su tutte le motivazioni della guerra, che deve “rovesciare il regime nazista” e riportare sotto il controllo di Mosca la “piccola Russia” degenerata. Nella nuova Yalta si dissolve il sogno ucraino di una vera sovranità, viene ormai archiviata la sua integrità territoriale, si spartiscono i territori in base agli interessi: agli americani interessano le terre rare per alimentare le nuove tecnologie, ai russi quelle carbonifere del Donbass, per proseguire sulla propria strada delle energie inquinanti, evidenziando la differenza dei due mondi. Non si tratta nemmeno di due sistemi economici divergenti, come il capitalismo e il comunismo della guerra fredda, in cui era facile scegliere da che parte stare per ragioni ideologiche in un senso o nell’altro. Sono due mondi che si sovrappongono nell’anima dell’uomo contemporaneo, il passato dei “valori tradizionali”, duri come il carbone e scuri come il petrolio, e il futuro delle “intelligenze artificiali”, fluide come i generi sessuali e invisibili come le forme attuali di comunicazione, che non prevedono la presenza fisica degli esseri umani.

In preparazione dei festeggiamenti simbolici dell’80° di Yalta, preludio della grande parata della Vittoria in cui potrebbero unirsi i due imperatori, si è scoperto un fatto curioso rivelato da alcuni giornalisti. Il monumento in bronzo a Livadija della trojka dei vincitori, scolpito nel 2015 dal cantore del nuovo potere russo, Zurab Tsereteli, è di fatto senza padrone, non essendo stato messo a bilancio di nessuna istituzione, e quindi è in stato di abbandono, con segni di ruggine sul mantello di Roosevelt e sul cappotto da maresciallo di Stalin, con graffiti ironici di avventori e la lapide spezzata, anche se le ginocchia rifulgono per i segni della devozione popolare. La capo dell’amministrazione russa locale, Janina Pavlenko, ha promesso di sistemare tutto quanto prima, per ripristinare il significato simbolico della “grande trinità dei dominatori” che avevano de-nazificato il mondo intero.

In realtà lo scultore russo-georgiano Tsereteli, oggi 91enne, è proprio uno dei maestri del simbolismo neo-imperiale, a cui ha dedicato numerose statue imponenti in tutta la Russia e nel mondo, da Pietro il Grande a Vladimir il Battezzatore, fino a quella di San Nicola di Myra situata di fronte alla basilica di Bari, donata da Vladimir Putin per onorare il protettore della Santa Russia. Di solito tutte le sue figure bronzee hanno un aspetto comune, come se si trattasse sempre e comunque di un unico personaggio che riunisce in sé tutti gli altri, nello stile ambizioso del “mondo russo”; ma la trojka rispetta abbastanza le immagini ben note in tutte le mondo dei tre grandi, accentuando magari l’espressione minacciosa di Stalin per riprodurre i sentimenti del suo attuale successore al Cremlino. Il monumento doveva essere preparato per il 60° anniversario del 2005, ma è stato poi installato per il 70°, e oggi appare quanto mai necessario nell’80°, per esprimere il significato degli avvenimenti correnti.

Alla vigilia delle celebrazioni, i servizi russi dell’Fsb hanno desegretato una serie di documenti della conferenza di Yalta, e sono state presentate diverse nuove pubblicazioni sullo storico evento, con una grande conferenza che ha riunito studenti da tutto il mondo sul tema “Yalta 1945-2025: lotta per un nuovo ordine mondiale e l’iniziativa russa nel XXI secolo” alla nuova università federale della Crimea, già università locale dell’Ucraina. In essa verrà ribadita la lettura russa della storia del secolo scorso, condannata dal parlamento europeo il 23 gennaio come “falsificazione della storia” e manipolazione delle coscienze, allo scopo di giustificare la guerra attuale. Come ha dichiarato la rappresentante della Ue per la politica estera, l’estone Kaja Kallas, “la disinformazione è una parte fondamentale dell’attività bellica dei russi, un fronte di guerra ibrida che attraversa i nostri sistemi democratici, le università e i parlamenti, i media e le altre istituzioni, per creare una mentalità di sfiducia e istigare i conflitti interni alle nostre società”. Non caso, proprio l’Estonia è uno dei Paesi ex-sovietici più contesi dalla Russia putiniana, con alcune città divise sul confine tra la Russia e la Nato.

Del resto, la Russia nega anche la circostanza storica dell’occupazione dei Paesi baltici nel 1940 in seguito al patto Molotov-Ribbentrop, l’alleanza con i nazisti che di fatto diede una spinta decisiva alle invasioni hitleriane in Europa, prima che Stalin decidesse di salvare il mondo. Mosca nega anche le responsabilità per il massacro dei polacchi delle Fosse di Katyn, ricordando l’invasione della Polonia nel 1939 come una forma di “liberazione”, e per quanto riguarda la Cechia e la Slovacchia, la narrazione russa dell’ingresso delle truppe sovietiche nel 1968 attribuisce la causa alle richieste degli ucraini, spaventati dai moti rivoluzionari di Praga. Non stupisce dunque che si cerchi di aggiornare l’interpretazione della conferenza di Yalta, non soltanto lucidando i bronzi di Stalin e Roosevelt, ma come una “profezia rivolta alle nuove generazioni per come agire in caso di nuovi conflitti”, come ha dichiarato il presidente del parlamento russo della Crimea, Vladimir Konstantinov.

Secondo questa interpretazione, esposta nell’ultima tavola rotonda a Sebastopoli, lo “spirito di Yalta indica la necessità di delimitare le sfere d’influenza delle superpotenze”, e la Polonia del 1939 era colpevole di “non aver trovato il proprio posto” e per questo ha dovuto “interrompere la propria esistenza” e dividersi tra Urss e Germania, rivelando come l’Ucraina sia in realtà soltanto la superfice dell’intera piramide sotterrata dalle mire del Cremlino, il riflesso di una realtà conflittuale molto più vasta, quella della Polonia e dell’intera Europa. Konstantinov afferma trionfalmente che “in Ucraina la Russia ha già vinto”, non tanto per i territori conquistati, quanto per aver imposto un nuovo sistema di relazioni simile a quello del “lager sovietico mondiale”, oggi riflesso nel mondo russo universale. Il leader russo nella Crimea occupata riconosce comunque che “Trump non è Roosevelt”, avendo a disposizione solo un quadriennio invece “dell’eternità immaginata nei colloqui di Yalta”, considerando che l’allora presidente americano, figura mitologica agli occhi dei russi anche per aver ideato le bombe atomiche, utilizzate poi dal suo successore Harry Truman a Hiroshima e Nagasaki, era segnato dalla malattia che lo portò alla morte due mesi dopo l’abbraccio con Stalin, che invece funziona alla perfezione come antesignano di Putin.

Nelle conferenze sull’anniversario crimeano, l’argomento principale ormai non è la conclusione della guerra, ma quale regime instaurare a Kiev nei prossimi anni, e una delle affermazioni più ripetute è che “il grande sconfitto nella crisi ucraina è l’Europa”, a cominciare dalle nazioni che confinano con l’Ucraina e che ne contestano da secoli vari territori di frontiera come la Lemkovščina, la terra dei Lemki o Rusiny, una variante degli slavi orientali nei Carpazi, o il Podljaše, la terra dei podlasjani al confine con Bielorussia e Polonia, la Nadsjanie e il Marmaroš, altra regione della Carpazia detta anche Marmatia, fino alla Slovacchia e all’Ungheria, parlando di terre europee poco conosciute, ma di grande significato simbolico.

Nella conferenza di Yalta, in realtà, il vero protagonista fu il britannico Winston Churchill, colui che più di tutti aveva creduto nella possibilità di instaurare una pace sicura e universale. Egli allora rappresentava l’intera Europa, la sua anima e le sue tradizioni culturali ed etniche, anche se oggi il suo Paese non fa parte dell’Unione, ma indica all’Europa la strada da seguire, per non rimanere schiacciati dalle ambizioni degli imperatori d’Oriente e Occidente.

 

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