08/03/2025, 08.45
MONDO RUSSO
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La 'non-Quaresima' russa della Vittoria

di Stefano Caprio

La sensazione della maggioranza della popolazione è quella di avere sconfitto l’intero Occidente, confortati dal voltafaccia americano. La domanda che sorge in loro, però, è “che cosa succede adesso?”.

Come succede ogni cinque-sei anni, la Pasqua giubilare del 2025 coincide nelle date tra cattolici e ortodossi, e in questi giorni tutti iniziano i riti della Santa Quaresima, con la richiesta reciproca di perdono mentre sono in corso le trattative globali per ritrovare la pace e mettere fine ai conflitti, a cominciare da quello tra Russia e Ucraina che ha smosso gli equilibri mondiali. Il patriarca di Mosca, Kirill (Gundjaev) ha presieduto domenica 2 marzo la liturgia Syropustnaja, della “rinuncia ai formaggi” che segue la precedente settimana Mjasopustnaja, la “rinuncia alla carne” che nel mondo latino ha prodotto il Carnevale - la festa sfrenata di “addio alla carne” - mentre nella pratica ortodossa si rinuncia fino alla Pasqua ad ogni cibo di origine animale, e si richiede il perdono prima di iniziare il Velikij Post, il “Grande Digiuno”.

Come ha spiegato il patriarca ai fedeli, il Post è un “periodo particolare, che richiede all’uomo molto di più che il solito nell’attenzione alla propria vita spirituale, analizzando a fondo i propri pensieri, le proprie parole, e naturalmente le proprie azioni”. Il Digiuno quaresimale è “una scuola in cui finalmente volgiamo a noi stessi l’attenzione che normalmente ci manca, inghiottiti dalle tante preoccupazioni quotidiane”, attenzioni da concentrare in particolare su quanto avviene nella vita, soprattutto ai “conflitti che derivano dalle emozioni, più che dalla logica”, in cui tutti si sentono offesi, ma “tutti abbiamo delle colpe”, accennando in qualche modo al superamento delle reciproche pretese anche nella guerra.

Come spiega Kirill, “quando si entra in una situazione di conflitto, bisogna fare tutto il possibile per risolverla”, e se non si riesce a venirne a capo, perlomeno “nelle fasi più acute dello scontro bisogna rivolgere a sé stessi la domanda: io che ruolo ho avuto in tutto questo?”, per evitare che tutto finisca nel peggiore dei modi. Il patriarca non ha nominato esplicitamente la guerra in Ucraina, ma alla luce degli “scambi di ruolo” provocati dalle altalenanti trattative, la sua esortazione sembra volersi rivolgere sia ai russi che agli ucraini, agli americani e agli europei, giungendo a una possibile riconciliazione “per evitare il peggio”.

I russi sono sempre stati convinti di essere dalla parte della ragione, e che la vittoria avrebbe dimostrato la sacralità della loro missione per salvare il mondo dalla depravazione. Il punto è che quando sembra che finalmente, nell’Anno della grande Vittoria, stia per concludersi trionfalmente questa “missione”, in Russia si sta diffondendo un’imprevista sensazione di smarrimento, di perdita della comprensione del “proprio ruolo” e delle conseguenze di tre anni di follia e tragedie, nell’incertezza del futuro che si sta disegnando. C’è il “senso della vittoria”, ma non si capisce bene in che cosa essa consista, come attestano vari sondaggi delle opinioni diffuse tra la popolazione russa, come quelli del centro Levada. Si confrontano le percentuali di consenso allo zar Putin, che oggi raggiungono il livello record dell’88%, come era accaduto nel 2008 per la vittoria contro la Georgia, e nel 2014 con l’annessione della Crimea, ma oggi non c’è un oggetto evidente, se non la certezza di avere ormai definitivamente conquistato i territori del Donbass, che del resto erano in gran parte sotto il controllo della Russia da ben prima dell’inizio dell’invasione dell’Ucraina.

In generale, la sensazione della maggioranza della popolazione è quella di avere sconfitto l’intero Occidente, confortati dal voltafaccia americano, che con i proclami di Donald Trump sembra essersi piegato ai principi perseguiti e diffusi dalla propaganda e dalle “operazioni speciali” della Russia, in quello che viene ormai definito il Trump-Putinismo. La domanda che sorge però è “che cosa succede adesso?”. Se per gli ucraini il problema è riuscire a trovare accordi per la ricostruzione del Paese distrutto, e per le garanzie di sicurezza rispetto alle possibili riaperture del conflitto, i russi non sanno esattamente che cosa farsene della vittoria, tanto agognata finché si combatte, quanto priva di significato una volta ottenuta. Il Levada ha provato a indagare più a fondo insieme al “Laboratorio del futuro” di Novaja Gazeta, ponendo cinque domande alla platea degli intervistati, tre sulle questioni di vita quotidiana (aumenti dei prezzi, acquisti di articoli stranieri, possibilità di recarsi liberamente all’estero) e due sulla politica, riguardo alla libertà di espressione e al ruolo delle forze dell’ordine nella vita della società russa, chiedendo di indicare quali di questi indicatori è destinato a crescere o a diminuire.

La risposta spontanea ai quesiti, ispirata dall’euforia trionfalistica, è assai poco quaresimale: “crescerà tutto!”, sia i prezzi che le repressioni, ma anche la libertà di parola, in una evidente confusione emozionale dell’opinione pubblica. L’incertezza più grande, analizzando più in dettaglio, riguarda la “crescita della libertà”, una condizione che i russi fanno fatica a comprendere, su cui il 30% degli intervistati non si è sentito di dare una risposta (il 40% di quelli con istruzione superiore), mentre su tutto il resto gli incerti si attestano al 20-25%. Ciò in cui i russi confidano più di tutto è la possibilità di riprendere a viaggiare all’estero, proprio nei Paesi occidentali e soprattutto in America, una finalità a cui non intendono più rinunciare soprattutto i più giovani, che non vedono grandi prospettive di “svolta ad Oriente” per le proprie esperienze di vita. Altrettanto diffusa è l’attesa degli articoli commerciali dall’estero, confortata dalle notizie della prossima riapertura dei locali Starbucks, considerata l’incapacità russa di produrre un caffè bevibile, anche se il sogno rimane la rinascita russa di McDonald’s, perché davvero non se ne può più delle patatine ammuffite di Vkusno – i Točka!, il “Buono – e Basta!” dall’immangiabile sapore degli hamburger d’infima qualità (e qui davvero di Quaresima non se parla neanche).

Tra i giovani e gli studenti è diffusa la convinzione che appena finisce la Svo, la “operazione militare speciale”, inizierà una vita felice di viaggi e acquisti sfrenati, senza più il terrore della mobilitazione al fronte, con la necessità di nascondersi o scappare chissà dove. La riapertura delle frontiere, in realtà, è attesa da almeno tre quarti dei russi, non solo dai più giovani, così come la stragrande maggioranza sogna la riapertura dei mercati, facendola finita con il regime di isolamento e autarchia contro cui nessuno osa protestare apertamente, ma che ha evidentemente esaurito le capacità di sopportazione. La contraddizione principale nell’animo dei russi riguarda piuttosto la crescita contemporanea di libertà e repressione, oltre al fatto che la grande abbondanza di prodotti si accompagnerà inevitabilmente a un forte aumento dei prezzi e del costo della vita.

A prevedere gli aumenti sono soprattutto le fasce più povere, mentre gli abbienti non se preoccupano più di tanto. Su questo influisce l’effetto dirompente dell’aumento dell’inflazione, che da oltre un anno sta mettendo in crisi l’intera economia russa, senza che la Banca centrale e le altre istituzioni riescano a trovare un rimedio efficace. Tuttavia, l’inflazione per molti significa non solo aumenti dei prezzi, ma anche dei guadagni, se non proprio dei salari, quindi non necessariamente impedisce un progresso del benessere, almeno negli strati più elevati della popolazione. Insomma, i prezzi saranno quelli che saranno, ma prevale la voglia di spendere i soldi per la propria soddisfazione, e di farla finita con i regali da mandare ai soldati al fronte in Ucraina. La maggior parte dei giovani risponde al sondaggio assicurando che “andremo dove vorremo, e compreremo tutto quello che ci piace”.

Ai russi non è proprio piaciuto il lungo digiuno anti-occidentale, e sognano di tornare a sfilare per le vie di Parigi come gli ussari di Alessandro I, il 31 marzo 1814 dopo la vittoria su Napoleone, che non a caso è stata rievocata da Vladimir Putin all’indirizzo di Emmanuel Macron, di fronte ai proclami di riarmo dell’Europa. Dai sondaggi risulta anche che la voglia di libertà sarà accompagnata in Russia dalle azioni sempre più capillari e intense delle forze dell’ordine. Ma non si tratta di paura della repressione, che del resto è ormai una condizione a cui i russi sono abituati non solo per le persecuzioni degli ultimi anni, ma per un’allergia ancestrale al dissenso, considerando che la prima polizia politica russa fu creata da Ivan il Terribile nel 1560 con la guardia degli Opričniki, a cui oggi si dedicano perfino delle associazioni culturali. La maggior parte dei russi afferma candidamente che “chi è leale al potere, allora è veramente libero”.

Quello che molti russi temono è il ritorno degli “ussari” a casa propria, più che la loro cavalcata verso Parigi. Sempre più piazze, scuole e musei vengono dedicati agli “Eroi della Svo” caduti in Ucraina, e sono ormai decine i deputati, sindaci e governatori scelti tra i combattenti di ritorno, che tengono regolarmente nelle scuole le lezioni di “Fondamenta della sicurezza” e di preparazione militare, fin dai bambini dell’asilo. Considerato che migliaia di soldati sono stati arruolati direttamente tra i criminali (compresi stupratori e pedofili), non c’è dubbio che servano molti poliziotti in più per le strade. Per proteggere il rinnovato benessere dei vincitori, che attendono soltanto la Pasqua della risurrezione di sé stessi, prima ancora di quella del Redentore appeso alla croce.

 

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