11/04/2025, 08.48
GEORGIA
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La memoria contesa del 1989 a Tbilisi

di Vladimir Rozanskij

Il governo di Kobakhidze evita di menzionare i russi nella ricorrenza dell'anniversario della dura repressione sovietica. L'accusa dell'ex presidente Zurabišvili: "il massacro non fu compiuto da anonime forze straniere". Al Memoriale delle vittime la manifestazione dei parenti dei dimostranti arrestati nei mesi scorsi durante i cortei filo-europei.

Tbilisi (AsiaNews) - L’ex-presidente della Georgia, Salome Zurabišvili, ha criticato i rappresentanti del Sogno Georgiano per l’interpretazione data ai tragici avvenimenti del 9 aprile 1989, con la strage di dimostranti a Tbilisi sul prospekt Rustaveli, che fu compiuto da soldati sovietici e non da anonime “forze straniere”. Erano “uomini russi e non avete il coraggio di ammetterlo”, ha commentato sostenendo che quello fu il giorno della “Vittoria della lotta pacifica dei georgiani contro i russi”. Il primo ministro Iraklij Kobakhidze aveva rilasciato una dichiarazione in cui non si menzionavano le armate sovietiche, e si paragonavano gli interventi dall’estero di allora con quelli di oggi, che “continuano a riversare violenza sul centro della capitale della Georgia”.

Kobakhidze afferma in effetti nel comunicato ufficiale che “ancora oggi le forze straniere incitano all’odio reciproco sulle strade di Tbilisi e cercano di distruggere artificialmente l’unità dei georgiani, lottando contro l’idea autentica della libertà”, ma l’esperienza del 9 aprile, a suo parere, “ci ha insegnato che l’esistenza delle potenze straniere non è eterna, e l’amore e la libertà trionfano sempre nel confronto con l’odio e la schiavitù”. Il governo georgiano cerca quindi di “spegnere queste energie negative ed evitare qualunque provocazione, anche piccola, tra le tante pianificate dalle potenze straniere nel nostro Paese”.

Zurabišvili addita invece alla vergogna il “cosiddetto governo georgiano”, che non vuole riconoscere che “solo i russi e i loro schiavi portano nel mondo la guerra e la violenza”, mentre coloro che protestano oggi in Georgia “vogliono la pace, credono in un futuro migliore e celebrano l’indipendenza del proprio Paese”. La “quinta presidente”, come viene definita dai suoi sostenitori che la ritengono l’unica autorità legittima del Paese, ha criticato anche il ministro della difesa, Iraklij Čikovani, anch’egli timoroso di pronunciare il termine “russi” per definire gli oppressori del 9 aprile: “come ci difende questo ministro, e da chi ci difende?”. E rivolgendosi ai membri del partito al potere, che “fanno sfoggio di patriottismo e nazionalismo”, chiede “come pensano di svendere il futuro della Georgia, visto che hanno già venduto il suo passato”.

La ex-presidente non ha visitato il Memoriale delle vittime del 1989, intervenendo il 9 aprile al Senato della Repubblica Ceca, anche per non doversi incontrare con i rappresentanti “illegittimi” delle istituzioni georgiane. Non sono comunque mancate le folle di manifestanti sul prospekt Rustaveli, fino al palazzo del parlamento, guidati dai parenti dei dimostranti arrestati nei mesi scorsi durante i cortei filo-europei, che hanno cercato di impedire ai rappresentanti del Sogno Georgiano di avvicinarsi al Memoriale, con conseguenti tensioni e scontri di piazza. Anche il premier Kobakhidze, come il presidente della repubblica Mikhail Kavelašvili, ha evitato di presentarsi sul luogo della commemorazione.

Il 9 aprile 1989 le truppe sovietiche avevano disperso i manifestanti che chiedevano l’indipendenza dall’Urss in una delle prime insurrezioni popolari del periodo della perestrojka gorbacioviana, usando armi lanciafiamme, pale da trincea e sostanze tossiche, provocando 21 vittime, soprattutto donne. Circa 200 persone furono ricoverate in ospedale subito dopo la manifestazione, e molti altri cercarono di farsi curare nei giorni successivi. Nel secondo anniversario della tragedia, il 9 aprile 1991, la Georgia proclamò infine la sua indipendenza,00 che era stata perduta nel 1921 con l’occupazione sovietica, e quel giorno il Consiglio Superiore dello Stato approvò la dichiarazione di restaurazione della sovranità del Paese caucasico.

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