La lunga parabola di Kirill su Benedetto XVI
Fin dagli anni Novanta il futuro patriarca di Mosca guardava a Ratzinger come un punto di riferimento per una possibile alleanza ortodosso-cattolica. La storia ha però mostrato quanto questi sogni fossero privi di fondamento. Il papa mite e profondo ci ha preparato a lungo ad affrontare la vera Apocalisse e la sua profezia vale oggi ancora più di ieri.
I solenni funerali del papa emerito Benedetto XVI si sono tenuti la vigilia dell’Epifania, e due giorni prima del Natale ortodosso, per il quale perfino il primate della Chiesa militante, il patriarca di Mosca Kirill, ha chiesto un armistizio per permettere a tutti la celebrazione dei divini misteri, supportato dal presidente Putin, facendo eco alle suppliche di pace di papa Francesco. La nascita al cielo di Joseph Ratzinger ha attirato molte attenzioni, e richiamato tutti a uno sguardo diverso anche sul Natale.
Benedetto aveva incontrato Kirill nel 2006, dieci anni prima dello storico incontro con Francesco all’Avana, quando era ancora metropolita per gli affari esteri della Chiesa russa, e già predicava la riconquista del mondo alla vera fede. In quell’occasione Kirill era venuto a consacrare la chiesa russa di Roma, dedicata a Santa Caterina d’Alessandria, che svetta al di sopra del cupolone di San Pietro dal parco della villa Abamelek sul Gianicolo, residenza dell’ambasciatore della Federazione Russa.
Il futuro patriarca, del resto, era venuto spesso a Roma nei tanti anni in cui, fin da giovane, già esercitava di fatto il ruolo di guida “ideologica” del patriarcato, e più volte aveva incontrato il cardinale Ratzinger. Le relazioni con i cattolici erano il suo riferimento primario, a causa delle aspirazioni universali della Chiesa moscovita, che fin dal Medioevo pretendeva di assurgere allo stato di “Terza Roma”, e la chiesa sopra al Vaticano non era che un modello simbolico della sua autocoscienza. Il debutto “universale” di Kirill, dopo gli anni sovietici giovanili (è diventato vescovo a meno di trent’anni, ai tempi di Brežnev), fu alle celebrazioni del Millennio del Battesimo della Rus nel 1988, che egli guidò affiancando l’ormai anziano e malato patriarca Pimen, che sarebbe morto l’anno successivo. Approfittando del timore che il papa polacco Giovanni Paolo II incuteva su Gorbačev e su tutta l’élite dell’ancora incerta perestrojka, Kirill fece arrivare a Mosca una delegazione vaticana con 10 cardinali, da Casaroli a Martini e Lustiger, riunendo alla Lavra di San Sergio un piccolo concilio ecumenico-patriarcale. Nel 1990 Kirill appoggiò la nomina patriarcale del metropolita Aleksij (Ridiger), inimicandosi il grande favorito Filaret (Denisenko), il metropolita di Kiev oggi 95enne, ispiratore della rivolta ecclesiastica ucraina contro Mosca.
Ratzinger era già ai vertici della Congregazione per la dottrina della fede, rivestendo una funzione analoga a quella di Kirill in Russia, come ispiratore e ideologo del papato wojtyliano, e a lui infatti guardava Kirill come il vero riferimento della possibile alleanza ortodosso-cattolica. L’attuale 76enne patriarca di Mosca è certamente un uomo colto e brillante, anche se non ha un curriculum accademico e di produzione teoretica paragonabile a Benedetto, forse il più grande teologo cristiano della seconda metà del Novecento. L’insegnamento ratzingeriano cercava di preparare la Chiesa a un futuro di umiltà e nascondimento, quella che sarebbe stata chiamata in seguito “l’opzione Benedetto”, e Kirill aveva in mente una proposta integrativa, più che alternativa, a questo programma.
Il teologo bavarese e futuro papa vedeva già negli anni successivi al Concilio Vaticano II, evento a cui aveva partecipato come giovane consultore, un profondo cambiamento nelle relazioni tra la Chiesa e il mondo. Bisognava prepararsi ad abbandonare le posizioni dominanti e l’influsso socio-politico del cristianesimo ufficiale, tornando a quello profetico e determinante del Vangelo, in grado di cambiare il mondo senza potere e senza il supporto della gloria terrena. Molti commenti di questi giorni tornano a sottolineare la preveggenza di Benedetto, che già mostrava la “Chiesa in uscita” e “di periferia” invocata dal suo successore.
Kirill faceva molta attenzione alle parole di Ratzinger, negli anni in cui cercava di gestire il delicato passaggio della fine dell’Unione Sovietica, in cui la Chiesa ortodossa aveva servito fedelmente fin dagli anni di Stalin le direttive del partito, assumendo una posizione umiliante e molto compromessa. La rinascita religiosa degli anni Novanta mise in crisi il patriarcato di Mosca, che pur recuperando i fedeli, rischiava di perdere il potere. Il metropolita propose allora di mettersi al servizio non solo degli ortodossi, ma anche dei cattolici: nel 1990 suggerì alla Santa Sede di non inviare vescovi o nunzi apostolici a Mosca, e di mandare a lui i sacerdoti missionari da distribuire sul vasto territorio russo-eurasiatico (era ancora viva l’Urss), come membri della “sezione cattolica” del patriarcato.
L’idea non piacque per niente al papa Giovanni Paolo II, che appena fu possibile rimise in piedi le strutture cattoliche in Russia e nei Paesi ex-sovietici, a cominciare dall’Ucraina, a cui Kirill teneva particolarmente, e oggi si comprende bene il perché. Il metropolita lo prese come un affronto personale, e questa circostanza lo spinse a modificare i toni dei suoi pronunciamenti ufficiali. Mise da parte l’ecumenismo e le gentilezze dei rapporti diplomatici, per cominciare a predicare un’altra variante della rinascita religiosa, quella della Chiesa apocalittica che si erge di fronte agli assalti dell’Anticristo. Usando gli argomenti ratzingeriani, Kirill voleva dimostrare che il cristianesimo stava davvero rischiando di essere eliminato dalla società secolarizzata; e del resto, chi meglio dei russi poteva saperlo, dopo settant’anni di ateismo militante? La Chiesa doveva rinascere in forme nuove, e questo compito toccava proprio alla Terza Roma moscovita.
Queste e altre considerazioni fecero di Kirill, chiamato allora “l’oligarca ecclesiastico” per la sua spregiudicatezza nel lanciarsi nelle avventure contraddittorie della Russia eltsiniana, il vero ispiratore della politica del neo-presidente Vladimir Putin, assurto al potere nell’anno del terzo millennio cristiano. Se oggi la Chiesa ortodossa è in qualche modo costretta ad appoggiare gli eccessi bellicisti del putinismo, accompagnati anche da durissime repressioni, nel primo decennio del regno del nuovo zar era il patriarcato a guidare le scelte, sostenendo in ogni modo la “difesa della tradizione” come soluzione di tutti i problemi.
Quando Ratzinger divenne papa Benedetto XVI, Kirill aveva quindi ripreso in mano le redini della Russia e della sua rinascita, non più soltanto genericamente religiosa, ma propriamente ortodossa e “sovranista”. Cercò allora di riproporre l’alleanza fallita nel 1990, mettendosi accanto al nuovo pontefice nella difesa in tutto il mondo del vero cristianesimo. Ottenne di fatto il controllo sui cattolici russi che aveva chiesto allora, e che il papato ratzingeriano gli concesse, mettendo da parte gli ardori proselitisti polacchi. In fondo questa non era più la sua necessità primaria, visto che le nuove regole del regime putiniano gli permettevano già di evitare qualunque forma di concorrenza sul sacro territorio della Russia.
Il desiderio di Kirill era quello di spingere i cattolici a difendere sempre più in tutto il mondo i “valori irrinunciabili” nell’agone sociale, la famiglia tradizionale e la difesa dei ruoli naturali di genere, insieme a quella della vita nascente, anche se questo argomento è poco difendibile in Russia, il Paese dove in percentuale si compiono più aborti al mondo e dove il divorzio è addirittura permesso dai canoni ecclesiastici. Gli argomenti etici e antropologici sono spesso delle coperture, espresse in Russia (e non solo) con ampie dosi di ipocrisia, pur esprimendo in realtà esigenze profonde nell’azione della Chiesa a livello sociale. Quello che conta veramente, dal punto di vista degli ortodossi russi, è l’attitudine “difensiva”, la proclamazione di uno spazio invalicabile che costituisce il significato originario del termine “ortodossia”, la difesa della vera fede. Il documento “Dominus Iesus” scritto da Ratzinger nel 2000, anno della gloria di Putin e Kirill in Russia, sembrava rispondere a queste esigenze, riaffermando l’unicità della salvezza attraverso Cristo, e non tramite altre religioni o ideologie.
Negli anni del pontificato ratzingeriano sembrò quindi che il grandioso progetto fosse realizzabile, una specie di “opzione Benedetto-Kirill”, una unione di cristiani d’Oriente e d’Occidente non per realizzare fusioni strutturali, ma per testimoniare l’avvento di una nuova era del vero cristianesimo. La storia ha però mostrato quanto questi sogni fossero privi di fondamento. Quando Kirill divenne patriarca nel 2009, nell’Occidente globalizzato era già esplosa una gravissima crisi economica, che ha causato un profondo scontento in tutti i Paesi e in tutti gli strati meno protetti delle popolazioni. Più che le crociate etiche, si cominciarono a diffondere le ansie di ribellione sociale, i cosiddetti “populismi” e sovranismi di ogni genere, e la Russia perse anche l’ultimo privilegio che le era rimasto, quello di essere l’unico Paese al mondo a contestare il potere globale.
Il secondo decennio degli anni Duemila, inizio del patriarcato di Kirill, portò invece alla fine del pontificato di Benedetto, che si dimise per motivi solo a Dio conosciuti, ma mostrando comunque un’evidente debolezza di fronte alla disgregazione del mondo e della Chiesa. Al posto dell’ottimismo sincretistico e ultra liberale della globalizzazione, è iniziata l’era della suscettibilità e della ricerca dei colpevoli, nelle istituzioni pubbliche dello Stato e della Chiesa. L’alleanza ortodosso-cattolica, sognata da Kirill e almeno in parte assecondata da Benedetto, è stata comunque proclamata all’Avana da Francesco e Kirill, senza purtroppo potersi tradurre in una vera rinascita della Chiesa universale.
Sappiamo oggi come è andata a finire, con Kirill che benedice le armate di Putin per “difendere il mondo” da un Anticristo sempre più difficile da individuare, o sempre più uguale ad ogni deriva autoritaria dell’uno e dell’altro campo della guerra. Papa Francesco ha creduto a lungo nell’alleanza con Kirill, favorendola in ogni modo e cercando di sostenerla perfino durante i mesi dell’invasione dell’Ucraina, non riuscendo a credere che quella fosse davvero la scelta definitiva degli ortodossi russi: l’apocalisse della storia.
Benedetto si era ritirato nella preghiera, affidando a Dio la Chiesa cattolica e quella ortodossa, e il futuro del mondo intero. La sua scomparsa nei giorni del Natale, dopo un anno di guerra, ha imposto a tutti, credenti e non credenti, militanti e attivisti di ogni parte, una tregua di riflessione e contemplazione, come quella dei Magi dell’Oriente di fronte al Bambino indifeso. Il papa mite e profondo ci ha preparato a lungo ad affrontare la vera Apocalisse, e la sua profezia vale oggi ancora più di ieri. L’opzione Benedetto è la rinascita del mondo in Cristo, alla fine della guerra dei popoli e dei cuori.
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