01/03/2025, 08.41
MONDO RUSSO
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La guerra santa senza fine della Russia

di Stefano Caprio

L’esercito russo ha scagliato in questi giorni un numero ancora superiore di droni e bombe contro l'Ucraina, volendo ribadire la propria finalità di conquista al di là di ogni trattativa e piano di spartizione con gli Stati Uniti di Donald Trump. Per continuare ad esaltare la teologia della Vittoria, la vera divinità a cui dedicare ogni sforzo e ogni sacrificio.

Con il terzo anniversario dell’invasione dell’Ucraina, ci si attendeva un grande proclama di vittoria da parte di Vladimir Putin, atteso anche come il possibile segnale della fine del conflitto armato. Invece, l’esercito russo ha scagliato in questi giorni un numero ancora superiore di droni e bombe contro il nemico, volendo ribadire la propria finalità di conquista al di là di ogni trattativa e piano di spartizione con gli Stati Uniti di Donald Trump, la cui disponibilità a sostenere le tesi putiniane in ogni aspetto economico, militare e morale della geopolitica rappresenta la vera vittoria del “sovranismo oligarchico” del Mondo Russo.

L’insistenza americana sull’appannaggio delle “terre rare” ucraine, più che indicare un piano di ricostruzione della terra devastata dai russi, appare peraltro una mossa derivante dal grande conflitto ibrido con la Cina, per l’uso delle nuove tecnologie. In questo quadro la Russia si muove con tutta l’ambiguità possibile, ben sapendo di non essere all’altezza dei due grandi contendenti in questo settore cruciale, ma cercando di ottenere vantaggi da entrambe le parti. Le “trattative di pace” dureranno quindi all’infinito, pur con la possibile serie di armistizi e accordi parziali, per non perdere i privilegi dello stato di guerra, l’unico modo con cui la Russia può continuare ad esaltare la teologia della Vittoria, la vera divinità a cui dedicare ogni sforzo ed ogni sacrificio.

Il giorno prima dell’anniversario della “operazione militare speciale”, il 23 febbraio, in Russia si è festeggiata la Giornata dei Difensori della Patria, una ricorrenza sovietica in onore della Vittoria nella Grande Guerra Patriottica contro il nazismo, che veniva allegramente onorata anche come “festa del maschio”, prima della festa della donna dell’8 marzo. Nella Russia putiniana questa data ha invece ripreso i toni solenni della sacralità bellica, tanto che il presidente ha voluto consegnare al Cremlino le onorificenze a undici Eroi della Russia ricordando che “noi combattiamo per la Patria, facendo tutto il possibile per consegnarla alle future generazioni, ai nostri figli e ai nostri nipoti, perché questo è il destino che Dio ha predisposto per noi: Egli ha messo sulle nostre spalle una missione difficile, ma gloriosa, quella di difendere la Russia”.

“È piaciuto a Dio”, ugodno Bogu, mandare al massacro centinaia di migliaia di soldati russi e sterminare un numero enorme di cittadini ucraini, ha ribadito Putin ai veterani della guerra in Ucraina, “per essere fedeli ai luminosi precetti dei padri, dei nonni e dei bisnonni… dimostrando il vostro coraggio, voi siete le sentinelle a guardia della Russia, lottate con fervore per la verità e la giustizia, per la pace e il futuro del nostro popolo”. Per meglio illustrare queste motivazioni, lo zar ha ricordato “una delle guerre” dell’impero russo nel XIX secolo, senza precisare quale, in cui per difendere i confini presso il Danubio vennero lanciati alcuni reparti di soldati “verso una morte sicura, chiamata in gergo militare il massimo onore”. Prima ancora della cerimonia, nel discorso introduttivo Putin aveva dichiarato che “la Russia è governata direttamente da Dio”, citando le parole del feldmaresciallo russo-tedesco del XVIII secolo Burkhard Christoph von Münnich, che aveva ottenuto una vittoria sui turchi nel 1739, e concludeva che “se non è così, non si capisce come faccia la Russia ad esistere”.

Le parole di Putin sono state confermate anche dal Muftì supremo di Russia, Talgat Tadžuddin, che alla fine della cerimonia ha donato al presidente lo scudo e la spada del Difensore della Patria, affermando che “questa festa non si riduce a una celebrazione annuale, ma dura tutto l’anno, perché non esiste un giorno senza la difesa della nostra Patria”, volendo anche chiudere ogni polemica sulle pretese delle etnie musulmane che contendono a quelle slave l’identità della Federazione, che riemergono in diverse occasioni di espressione dell’orgoglio nazionalista nelle varie regioni. Il Muftì ha parlato comunque della difesa comune del “regno bulgaro e dell’impero russo” attribuendo all’attuale presidente “il primo titolo di imperatore della Russia e il secondo titolo di principe dei Bulgari del Volga e di Kazan”.

Il grande compito del sacro zar è stato poi illustrato dal capo dei cappellani ortodossi al fronte della Svo, l’operazione speciale in Ucraina, il protoierej e cavaliere dei tre ordini dell’Audacia padre Dmitrij Vasilenkov, cha ha rilasciato un’ampia intervista all’agenzia statale Ria Novosti proprio in occasione della giornata dei Maschi Difensori, vantandosi dei 42 mila soldati battezzati al fronte. Egli ha raccontato come la festa è stata celebrata nelle zone di guerra portando ai soldati i regali della popolazione e soprattutto dei bambini, con letterine e dolciumi, con i concerti negli ospedali e nelle infermerie, ricordando in particolare un eroe di Russia recentemente defunto nelle zone degli scontri, il protoierej Mikhail Vasilev, che predicava come “bisogna essere pronti a tutto per il sacro onore della difesa della Patria”. In occasione delle festa ha organizzato spedizioni di scatole di calze per i soldati, “non quelle che si mettono e si buttano, ma quelle buone e tattiche, che faranno davvero piacere ai nostri eroi”, che vengono raccolte nelle chiese per “sentirsi vicini ai nostri difensori”.

I sacerdoti ortodossi stanno preparando grandi festeggiamenti per la Pasqua del 20 aprile, nell’anno degli 80 anni della Vittoria, ricordando che nel 1945 la principale festa cristiana cadde il 6 maggio, giorno di S. Giorgio il Vincitore, come ricorda sempre il patriarca Kirill, e quest’anno sarà chiamata la “Pasqua vittoriosa”. Lo stesso capo degli ortodossi russi ha ricordato che “la Chiesa deve stare sempre dalla parte del popolo, incarnare lo spirito patriottico che deriva dall’eredità dei nostri santi che volevano essere essi stessi dei difensori della Patria”, sottolineando che le parole Rodina e Otečestvo, i due termini russi per indicare la patria, “vanno scritti sempre con la lettera maiuscola”, perché “per i cristiani la vera Patria è il Regno dei Cieli”, ribadendo la coincidenza delle dimensioni terrestre e celeste a fronte di alcuni sacerdoti che si permettevano di mettere in secondo piano gli ideali della “Ortodossia militante”.

Come ha ribadito padre Vasilenkov, “non ci dobbiamo occupare della questione delle trattative”, lasciandola nelle mani dello zar-presidente e del governo, continuando a sostenere i soldati al fronte e “combattere anche nella nostra vita comune per il trionfo del bene”, sentendosi tutti coinvolti nella “grande battaglia”. Egli ricorda che “i nostri nemici in tutto il mondo hanno un unico scopo, quello di distruggere la Russia, e noi dobbiamo vincere come roccaforte della moralità e dei valori tradizionali nel mondo, senza coltivare inutili illusioni”. In questo il cappellano esprime l’autentica reazione dei russi alle proposte americane di pace, viste comunque come “tentazioni diaboliche” per sottrarre ai russi la purezza della difesa della fede, cosa del resto non particolarmente difficile, viste le tendenze edoniste della nuova presidenza americana, che vuole trasformare le zone di guerra in resort turistici o miniere di pietre preziose.

Il lavoro dei cappellani militari è particolarmente concentrato sul superamento delle “sindromi post-traumatiche”, che secondo padre Dmitrij non dipendono dalle ferite e dai combattimenti, ma dalla “carenza di motivazioni” nelle azioni belliche, perché le persone che “stanno in piedi con grandi ideali e sanno perché combattono non hanno debolezze nell’animo, anche quando vengono colpiti nel corpo”. Quindi “se non vogliamo doverci occupare dopo della riabilitazione di masse di persone, bisogna prepararli per tempo, e questo è il compito di noi sacerdoti”, afferma il capo dei cappellani, spiegando che tale lavoro non riguarda soltanto i membri dell’esercito, ma l’intera popolazione della Russia, a cominciare dalle élite, perché “il battaglione può essere fatto da ottime persone, ma tutto dipende da chi comanda”.

Di fronte ai timori di non farcela, i cappellani devono ricordare che “Dio aiuta a resistere e a morire con onore”, e quello che conta è il destino eterno, sia che si rimanga sulla terra che andando all’altro mondo. Non si può combattere “soltanto per i soldi”, per i quali “si può uccidere, ma non morire”, come scrive padre Vasilenkov nel suo libro di catechesi bellica In guerra, la parola del Donbass, in cui si illustrano “i principi spirituali della vera sopravvivenza, non solo in guerra, ma nella realtà estrema della vita”. Per diffondere ancora di più questa cura pastorale, i cappellani ortodossi hanno anche aperto un canale Telegram Na voine, “Alla guerra”, che ammaestra sulle “regole di sicurezza spirituale” e distingue il senso vero “della morte e delle uccisioni, e di molte altre gravi questioni”.

Queste direttive spirituali per la “guerra santa” sul fronte della guerra e della vita sono presentate come “antiche tradizioni dei combattenti ortodossi”, risalenti al “Cammino dell’Arcistratega”, un testo tardo-medievale che padre Dmitrij attribuisce “alle origini della Rus’ di Kiev”. Nel testo si spiega che i primi russi ancora pagani rifiutarono le “azioni selvagge” nei combattimenti quando assunsero il cristianesimo, trovando nell’Ortodossia un “nuovo senso della vita e della guerra” e anche oggi bisogna “educare a combattere per essere vincitori”, sia sul campo che nell’anima. Il generalissimo Aleksandr Suvorov, che presto verrà proclamato santo dal patriarca Kirill, diceva che “Dio non aiuta i briganti, ma il soldato russo non è un brigante”. La guerra continua, perché per i russi è questo il vero senso della vita.

 

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