La figlia di Thaksin, i giovani o i militari: le tre strade di Bangkok
La Thailandia domenica 14 al voto che archivierà gli anni del governo di Prayut Chan-ocha in un Paese profondamente in crisi. Indeboliti dalle divisioni i vincitori del voto del 2019, il Move Forward Party è un possibile outsider. Il capo dell'esercito esclude nuovi "interventi". L'incognita di un possibile rientro dall'esilio di Shinawatra in caso di una larga affermazione del suo Pheu Thai.
Bangkok (AsiaNews) - La Thailandia torna alle urne domenica 14 maggio per una consultazione giocata, più che sui programmi economici, sociali o sugli ideali, su un cambio della guardia al potere dall’ultimo colpo di stato che ha riportato i militari in un ruolo-chiave sempre più contrastato. Significativo che gli elettori – 52 milioni su 67 milioni di thailandesi - siano chiamati a scegliere la sola Camera dei Rappresentanti di 500 membri (400 eletti in collegi uninominali, 100 con sistema proporzionale), dove il partito filo-militare è finito in minoranza per divisioni interne, e non anche il Senato di 250 membri, di esclusiva nomina militare.
A confrontarsi, tre sfidanti principali con poche altre comparse e tra queste il Partito democratico, il più antico ancora presente nel Parlamento thailandese, storicamente fautore di una politica conservatrice e seconda vittima della scelta dei generali di prendere direttamente in mano il potere, questa volta formando un proprio partito, il Palang Pracharat. Il Pd è finito ormai nelle retrovie parlamentari, di fatto ininfluente anche nel suo ruolo storico di sostegno alla monarchia. Vittima più diretta del golpe del maggio 2014 era stato per diversi anni il Pheu Thai, la cui vicinanza alle politiche e agli interessi dell’ex premier Thaksin Shinawatra, in esilio volontario dal 2008, gli è costata la pressione continua e diretta dei militari nella loro pretesa di ripristinare nel Paese l’ “armonia” dopo anni di tensioni e violenze successive al colpo di stato del settembre 2006. Dall’esilio volontario, Thaksin ha continuato a garantirsi e a garantire a suoi parenti e sostenitori (oggi alla figlia minore Paetongtarn Shinawatra, candidata premier) un sostegno che risente a sua volta della persistente popolarità frutto di azioni concrete a beneficio dei gruppi meno favoriti, ma anche di populismo e criminalizzazione degli avversari.
Il Pheu Thai è dato per favorito, vicino al 50 per cento delle preferenze, anche se gli servirebbe il sostegno di 376 parlamentari (tra Camera e Senato) per designare il nuovo premier. Il Palang Pracharat, erede più diretto dell’esperienza golpista, maggiore formazione parlamentare dopo le elezioni del 2019 e abbandonato dal premier (ex generale alla guida del colpo di stato) Prayut Chan-ocha che ha aderito a una nuova formazione (Ruam Thai Sang Chart), mostra pienamente i suoi limiti e soprattutto una mancanza di proposte concrete per riportare la Thailandia a una situazione insieme favorevole e sostenibile, oltre gli interessi delle forze armate e delle élite. Outsider infine è il Move Forward Party, favorito tra i giovani e la libera imprenditoria, a guidarlo è l’imprenditore Pita Limjaroenrat, che ai thailandesi propone progresso, libertà e pragmatismo di indirizzo.
Nell'impossibilità di affrontare temi troppo scottanti (e anche punibili legalmente) con il rischio di una reazione dei vertici militari, ma anche con una realtà sociale e economica in difficoltà nel post-pandemia e nella mancanza di coerenti politiche di rilancio, i partiti in corsa hanno usato la leva dei benefici e degli investimenti. Al punto che il 4 maggio la stessa Commissione nazionale anti-corruzione ha avvertito che questo potrebbe aver un effetto distorsivo sulle scelte degli elettori e ampliare i già estesi fenomeni corruttivi.
Alcuni elementi sono oggi dibattuti e incerti nelle prospettive: Thaksin Shinawatra ha anticipato la possibilità di un suo rientro dopo il voto, ma nessuno ignora l’effetto dirompente che avrebbe un simile evento che richiederebbe anzitutto una vittoria dei suoi sostenitori tale da limitare il rischio di arresto e una reazione dei comandi militari. A questo proposito ieri il capo dell’esercito, il generale Narongpan Jitkaewthae, ha escluso un nuovo colpo di stato, esortando i mass media a non utilizzare più il vocabolo “golpe” con riferimento ai militari.
Foto: Flikr/drburtoni