La difficile situazione dei profughi srilankesi in India
New Delhi (AsiaNews) – “I profughi srilankesi non saranno costretti a tornare a casa, finché non lo vorranno e la situazione non sarà sicura per loro”. Ma occorre “costruire una nuova convivenza”, che superi le differenze etniche e di altro tipo. Sul grave problema dei tanti profughi della guerra civile, AsiaNews sente in esclusiva p. Prakash Louis, gesuita e direttore per l’Asia del Sud del Jesuit Refugee Service (JRS).
Molti profughi Tamil della lunga guerra civile dello Sri Lanka si sono rifugiati in India. Tra i circa 115 campi profughi si sono diffuse voci di un prossimo loro ritorno forzato, ora che la guerra si è conclusa nel maggio 2009 con la sconfitta delle forze indipendentiste delle Tigri Tamil. Nel nord dello Sri Lanka, devastato da decenni di guerra civile, la situazione non è ancora tranquilla e molti profughi che tornano si trovano senza casa né lavoro né aiuti pubblici.
“La maggior parte dei profughi – spiega p. Prakash – sogna di poter tornare a casa in pace. Per molti quel momento non è ancora giunto. Il nostro lavoro è di accompagnare tutti loro in qualsiasi via prendano, per tutto il tempo che staranno in India”.
“Nel 2009, l'Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati ha dato i documenti per tornare a casa a 500 rifugiati srilankesi, su 105mila. Molti di coloro che sono ritornati hanno famiglia, terreno e lavoro nel Paese”.
Molti srilankesi Tamil e islamici non vedono con piacere il ritorno alla città natale sotto un pesante controllo dell’esercito cingalese. Comunque il p. Prakash insiste che il compito di enti pubblici e di ong private “è di assicurare un sostegno a coloro che decidono di tornare”. “Ma bisogna prendere in considerazione ogni possibilità. Molti rifugiati possono voler restare in India. In questo caso, i gruppi sociali dovrebbero sollecitare il governo indiano a permetterlo”.
“Altri vorrebbero potersi ristabilire nel loro Paese, specie chi ha una migliore istruzione”. “Tra l’altro, a volte le famiglie sono divise tra chi vuole rimanere nella regione e chi spera di andare nelle Nazioni occidentali” [molti Paesi occidentali, come l’Italia, hanno consentito l’immigrazione di un elevato numero di srilankesi, proprio per la situazione di guerra civile].
“Intanto, occorre assicurare che i programmi oggi esistenti non siano abbandonati e molto può essere fatto per migliorare le condizioni dei profughi srilankesi in India”. “Sono loro assicurati una sistemazione con il necessario e una minima assistenza finanziaria, nonché la possibilità di trovare un lavoro. Ma restrizioni come il coprifuoco limitano la loro libertà di movimento, specie in alcuni campi vicino la costa. In alcuni campi le loro condizioni di vita sono deplorevoli”.
“I profughi srilankesi ricevono aiuti da diverse ong, compreso il Jesuit Refugee Service (Jrs), che fornisce loro insegnamenti e addestramento pratico per il lavoro e un aiuto a intraprendere piccole attività d’impresa. Nonostante la prossimità etnica tra rifugiati e popolazione indiana locale, ci sono pochi rapporti tra loro, anche per le restrizioni per l’accesso ai campi”.
“I sacerdoti Tamil e Sinhala, lavorano insieme per il recupero e lo sviluppo della popolazione. Questo incoraggia altri a superare le differenze etniche e religiose. Lavorare tutti insieme è un grande segno di speranza, la speranza di una riconciliazione e di un domani migliore. Una nuova convivenza da costruire”.
24/06/2010