La difesa della libertà religiosa in India, tutela di ogni libertà
New Delhi (AsiaNews) – L’All India Christian Council (Aicc) ha celebrato a Nagpur (Maharashtra) il “Dhammadiksha”, per ricordare quando il 14 ottobre 1956 il padre della Costituzione indiana, Bhimrao Ramji Ambedkar (nella foto) ha lasciato l’induismo per un’altra religione. John Dayal, segretario dell’Aicc, ha sottolineato come, 52 anni dopo, la libertà religiosa e di coscienza siano ancora in pericolo in India e la conversione sia da molti considerata un crimine.
“E’ sciocco – ha scritto Ambedkar nell’orazione “Mukti kon pathe?” (Quale via alla liberazione?) del 20 giugno 1936 – seguire una religione solo perché è quella degli avi. Non è quanto fa un essere razionale”. Sotto la sua guida, milioni di persone sono diventate buddiste.
Ora molti Stati indiani dicono che non proibiscono la conversione dall’induismo, ma chi la induce con violenza, minaccia, inganno. I leader cattolici concordano che la conversione può essere solo libera e condannano per primi qualsiasi imposizione nella fede. Ma Joseph D’Souza, presidente Aicc, ha ribadito che “nel rispetto della legge e delle altre fedi, ognuno ha diritto a convertirsi. E tutti hanno diritto a raccontare le proprie differenti scelte, così da farle conoscere. Chiediamo a tutti gli indiani, di qualsiasi fede, di proteggere questa libertà di scelta. La [possibilità di] conversione è prova di una democrazia sana. E’ simbolo di libertà di coscienza”.
D’Souza ha preso posizione contro la cosiddetta “moratoria delle conversioni” propagandata da gruppi estremisti indù e ripresa dai media. Osserva che il nazionalista indù Partito Bharatiya Janata invita i cristiani a un dialogo che “vorrebbe portare a un accordo pubblico di fermare le conversioni tra le caste inferiori”. “Dopo simili incontri funzionari del Rashtriya Swayamsevak Sangh [gruppo estremista indù] dicono ai media che i cristiani sono d’accordo a cessare le conversioni”. “In questo teatro dell’assurdo, l’Aicc rifiuta questo tipo di dialogo”, pur volendo un genuino confronto interreligioso. “Che - ha aggiunto - non riguarda gli assassini, gli incendiari, i violentatori dei cristiani dell’India”.
“Se il nostro Paese non dà a Dalit, tribali e ai membri della altre caste inferiori il diritto di scegliere la fede, abbiamo davvero loro imposto la schiavitù del sistema delle caste in modo permanente. Come ha detto Ambedkar: ‘Sono nato indù ma non morirò indù’. Nel 1956 ha realizzato questo desiderio, insieme a centinaia di migliaia di seguaci. Da allora, a ragione o a torto, la liberazione delle caste oppresse è del tutto legata alla possibilità di lasciare la religione che impone questo sistema di caste”.
Mentre lo Stato cerca di eliminare la discriminazione per caste, “i gruppi fondamentalisti indù guidati dal Rss rinforzano pratiche religiose favorevoli alle caste, che sviliscono Dalit e donne… Il vicepresidente del Vishwa Hindu Parishad ha detto che la vita di una mucca vale più di quella di un Dalit. Questo subito dopo che 5 giovani Dalit erano stati linciati a Jhajjar (Haryana) per avere scuoiato una mucca morta. Gruppi indù cercano di ripristinare la pratica del Sati [l’uccisione di una vedova sulla pira funeraria del marito] e distribuiscono libri con la Legge di Manu, che nell’India antica ha codificato il sistema delle caste”.
“Senza la libertà di coscienza” e di scegliere la propria fede – conclude – ogni altra libertà è priva di senso”. “C’è una sfacciata violenza contro i Dalit che esercitano la libertà di coscienza. Il leader Dalit Ambedkar ha mostrato loro la via. Né lo Stato né alcun leader religioso può dire loro come scegliere” la fede.